24 ore

di Tonino Scala

Mancano 24 ore. 24 lunghe ore di attesa, di ansia, di passione, di tutto.

Tra 24 ore tutti in campo per quella che non è solo una partita di calcio. È di più, molto di più.

Ma con tutti i problemi che abbiamo pensi al pallone? Lo so che state pensando a questo. In quei pochi momenti di lucidità lo penso anch’io. Ma non sono lucido, navigo a vista e… non mi resta che pensare al pallore. Quella palla tonda che corre in un campo rincorsa da miliardari in mutande che la rincorrono per metterla nella reta.

Lo so, lo so, vedere una partita di calcio è come vedere un film porno e dire dai, cazzo e girala così, ma che stai facendo, e dai… cosa stai aspettando. Non mi venite a dire che son misogino, vi prego! I film porno son tutti girati dal punto di vista dell’uomo! È sbagliato, lo so, ma non sono qui per fare un’inchiesta sul porno, voglio parlare di pallone, l’unica certezza resta in un mondo incerto.

Perché dico questo? Perché sono un attento osservatore del mondo che mi circonda. Puoi cambiare partito, puoi cambiare uomo, puoi cambiare donna, puoi cambiare marca della pasta, del dentifricio, poi modificare i tuoi usi, le tue consuetudini, il caffè, sostituirlo con l’orzo, con il guaranà, ma non cambierai mai la squadra del cuore. C’è poco da fare la maglia è la maglia!

Il calcio è e resta l’unica consolazione quando non sai dove sbattere la capoccia.

È l’oppio dei popoli, ma a Napoli è qualcosa di più. È una sorta di religione poco laica che unisce e divide. Il calcio a Napoli è riscatto, è la conquista di un palazzo sempre troppo lontano oppure vicino, ma inaccessibile.

Mancano 24 ore dicevo, 24 ore alla partita più importante del campionato.

24 lunghe ore per 90 minuti di passione che non determineranno il campionato che è ancora lungo e speriamo ricco di sorprese.

90 minuti per una partita che quando l’abbiamo vinta, anche se abbiam perso lo scudetto, è come se lo avessimo stavinto con dieci punti di lunghezza sulla seconda.

Chi non ricorda quel 9 novembre del 1986. Il primo goal fu del danese non colorato, Laudrup, al cinquantesimo. All’epoca le partite le sentivo alla radio. Oggi, dopo  un primo risultato negativo, anche parziale, per scaramanzia o spengo la Tv quando sono solo e ascolto le urla dal bar di fronte, o vado in camera da letto quando mio figlio Giovanni soffre con me e aspetto con ansia le sue grida e le risate di mia moglie che pensa e talvolta lo dice: Voi non state bene!

Nel 1986 non era possibile vedere le partite in diretta tv e allora chiudevo la radiolina. Al cinquantesimo di quel lontano 9 novembre al chiusi. Fu Vicienzo ‘o juventino, mio dirimpettaio con le sue imprecazioni a farmi capire che Ferrario numero 5 storico degli anni 80 aveva fatto pareggiare il mio Napoli. Ricordo che non accesi la radio fino al “Ma vafangule” sempre di Vicienzo che annunciava il goal di Bruno Giordano a minuto 74. Ci credevo, riaccesi quella vecchia radiolina della Grunding e Volpecina fece il resto. Avevamo vinto a Torino iniziò il sogno che ci portò al primo scudetto.

Che anni! Se ci penso mi scappa la lacrima.

E vogliamo parlare del 3 a 5 a Torino dell’88? E parliamone!

Era il mese sempre novembre, il 20 la partita iniziò subito bene al terzo minuto con un goal di Carnevale. Poi una doppietta del brasiliano che più di tutti ho amato: Careca. La Juventus ha sempre sentito il peso di questa partita e al quarantottesimo con Galia e al cinquantacinquesimo con Zavarov accorciò le distanze. Si era riaperta la partita, per fortuna il brasiliano decise di regalarci una tripletta dopo soli tre minuti: altro goal. Poi due rigori, uno per parte uno messo a segno dal bravo De Agostini e l’altro a cinque minuti dallo scadere dal mitico Renica. Al ritorno ci diedero il ben servito i bianconeri al San Paolo con un 2 a 4.

Juventus Napoli è sempre stata una partita pesante, ricca di emozioni e di tante altre cose che vanno oltre una partita di calcio. Nella mia follia di meridionale, son sempre convinto che l’unità d’Italia non è avvenuta il 17 marzo del 1861 bensì  il 3 novembre del 1985 alle ore 15,57 quando Maradona in un San Paolo ultra gremito fece una delle sue magie su calcio di punizione al settantaduesimo . Che goal! In quel momento l’Italia non solo calcistica si unì. Fu una sorta di risarcimento per tutto il maltolto sottrattoci in 124 anni di soprusi! Soprusi che però che però son continuati e ancora continuano, ma vuoi mettere la soddisfazione!

Ma domani è un altro giorno e un’altra partita.

Sarri, il nostro comandante supremo è andato a Superga ad omaggiare la squadra del Grande Torino che il 4 maggio del 1949 si schiantò contro il muraglione del terrapieno posteriore della basilica che sorge sulla collina torinese. Mi piace, mi piace assai quell’uomo e non solo perché è leader naturale di una sinistra che non osa da tanti, troppi anni. Mi piace perché in questi anni a Napoli mi ha fatto vedere un gioco che non avevo mai visto. Vero chi segna vince, non è solo il bel gioco che fa vincere le partite, ma l’amore è amore e allora…

Mi interessa vincere, sarei ipocrita se dicessi non è la cosa più importante, ma ciò che realmente vorrei è vedere la squadra in campo così come è avvenuto in tutto il campionato fino a quattro, forse cinque domeniche fa.

Vorrei questo. Questo e nulla più!

Vorrei vedere il bel calcio che san fare due squadre di livello, una ricca ricchissima, l’altra forte, ma non opulente, grazie al gioco che il toscanaccio tifoso del Napoli è riuscito a costruire in questi anni.

Che vinca il migliore, se poi il migliore dovesse essere il Napoli che ben venga.

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