Vent’anni. Vent’anni sembra ieri. Vent’anni uno scoppio. Vent’anni un boato nell’animo. Vent’anni, ricordo ancora quei momenti. Ero stato a Palermo qualche settimana prima. Per manifestare, per sancire che Palermo come l’Italia aveva bisogno di una nuova primavera. Tanti giovani, zaini in spalla venimmo accolti dalla capitale siciliana a braccia aperte. Una città che sentiva di potercela fare. Ricordo ancora la traversata. Mal di mare a go go. Notte insonne tra un canto e una voglia di fare. Marcello Colasurdo ci accompagnò con la sua tammorra in quei giorni. Non fu l’unico. Era l’anno delle olimpiadi di Barcellona. L’edizione del 1992 è testimone di un momento di grandi cambiamenti. Non dimenticherò mai i fratelloni Abbagnale ed il mio amico Peppiniello. Che gara mancarono una storica tripletta dopo Los Angeles e Seul crollarono nel finale ci accontentammo tutti dell’Argento dietro i fratelli britannici Searle. Giuseppe, Carmine e Peppiniello oltrepassarono i 1.500 metri saldamente al comando,apprestandosi ad avviare un poderoso “serrate” finale; il successo era, agli occhi di tutti,oramai scontato. Eppure sul bacino di Banyoles quella domenica accadde qualcosa di incredibile: i campioni in carica, tra lo stupore generale, lentamente si spensero mentre altri due fratelli – i britannici Jonny e Greg Searle – viceversa accelerarono in modo inatteso ed impressionante, a poche decine di metri dal traguardo affiancarono gli azzurri e quindi li superarono per 115 centesimi di secondo. I tre italiani presero posto sul podio silenziosi, con la mente lontana, intenti a cercare una spiegazione a quel clamoroso finale;probabilmente, e semplicemente, l’età aveva alla fine imposto la sua legge: i vogatori inglesi erano in media di ben dieci anni più giovani! Una sconfitta simile, tuttavia, sublimò ulteriormente la leggenda del 2 con stabiese: “Un dramma ancora più bello dell’oro”, titolò in prima pagina la “Gazzetta dello Sport”.
Vent’anni e una telefonata. Era una domenica pomeriggio, da poco avevo preso sonno. Avevo fatto tardi, avevo lavorato. Facevo l’aiutante fotografo, reggevo la lampada! Cinquantamila lire ogni servizio fotografico. Un matrimonio estenuante a Sorrento: feci le 4,30. Dormivo, beato quando il mio amico Giovanni Fuccillo amico di liceo mi chiama: “hai visto cosa è successo”. “Giuà stavo dormendo” la mia risposta assonnata. “Accendi la tv o la radio”. Dopo Falcone anche Borsellino. Rabbia sconforto ed ancora rabbia. Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell’abitazione della madre con circa 100 kg di esplosivo a bordo (semtex e/o tritolo) detonò al passaggio del giudice, uccidendo oltre a Paolo Borsellino anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu Antonino Vullo, ferito mentre parcheggiava uno dei veicoli della scorta.
Il 21 maggio dello stesso anno, due giorni prima dell’attentato di Capaci, (23 maggio 1992) dove persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, Paolo Borsellino rilasciò un’intervista ai giornalisti di Canal+ Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi:
« All’inizio degli anni Settanta Cosa Nostra cominciò a diventare un’impresa anch’essa. Un’impresa nel senso che attraverso l’inserimento sempre più notevole, che a un certo punto diventò addirittura monopolistico, nel traffico di sostanze stupefacenti, Cosa Nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali. Una massa enorme di capitali dei quali, naturalmente, cercò lo sbocco. Cercò lo sbocco perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all’estero e allora così si spiega la vicinanza fra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali, contestualmente Cosa Nostra cominciò a porsi il problema e ad effettuare investimenti. Naturalmente, per questa ragione, cominciò a seguire una via parallela e talvolta tangenziale all’industria operante anche nel Nord o a inserirsi in modo di poter utilizzare le capacità, quelle capacità imprenditoriali, al fine di far fruttificare questi capitali dei quali si erano trovati in possesso ».
Ancora oggi c’è un alone di mistero sulla vicenda. Ancora oggi c’è un conflitto istituzionale. Ancora oggi c’è voglia di verità.
Va fatta luce. Va fatta luce al più presto. Questa storia ha bisogno di verità. Il paese ha bisogno di verità. Nessuna ragion di stato può giustificare niente e nessuno. Non lasciamo soli i giudici che da anni stanno indagando tentando di ridare dignità al nostro paese. Non lasciamo solo Ingroia. La mafia ammazza quando si è soli! Non lo dimentichiamo mai.
La vicenda delle intercettazioni mi lascia sbigottito. Non possiamo avere due pesi e due misure. Quando le intercettazioni sono per Berlusconi allora lì bisogna cercare la verità. Quando riguardano Napolitano ci sono prerogative costituzionali. La vicenda riguarda tutti noi. In un momento come questo non ci possono essere dubbi anche su una figura che tanto ha fatto e continua a fare per il paese. Ancor più in un momento in cui c’è una delegittimazione che riguarda le istituzioni tutte. Sarebbe una iattura per il paese.
Non credo sia stata felice la richiesta sul conflitto di competenze posta dal capo dello stato. Non vedo irregolarità dei pm di Palermo. Non avrebbero dovuto immediatamente sospendere l’ascolto e distruggere i nastro delle intercettazioni tra Mancino e il Presidente. Le conversazioni non sono state depositate agli atti, e lo stesso pm Di Matteo ha detto che in questo procedimento sono irrilevanti, ma che non è certo lui che può decidere se distruggerle o meno. è il gip che decide.
Non credo che questa vicenda aiuti il nostro paese.
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