La Pelle che abito

Pedro Almodovar stupisce ancora e lo fa con il suo ultimo film: La Pelle che abito. Questa volta il regista spagnolo si avventura nel territorio del thriller, ispirandosi al libro “Tarantula” di Thierry Jonquet (edito in Italia da Einaudi). Non so come definire questo bel film. Non so dire con precisione a quale genere cinematografico possa essere associato. È un triller, questo è vero ma è anche un giallo, un pulp, un horror e un film introspettivo. La pelle che abito” è un’esplorazione del lato oscuro dell’animo umano, sullo sfondo di temi più attuali che mai come la chirurgia estetica e gli esperimenti genetici. Bello, avvincente, ottima la fotografia, sublime la colonna sonora. Quest’ultima insieme agli occhi di Banderas e Anaya fanno gran parte del film. Un film che rientra nel solco almadovariano ma diverso rispetto agli altri. Un film lento ma allo stesso tempo veloce. Non è questa la dichiarazione di un folle. La lentezza dei passaggi serve a creare suspance accompagnata da una colonna sonora che entra dentro cattura la testa e mette ansia. Veloce per le immagini, i cambi immagini, i passaggi veloci che sanno di lentezza. Immagini che da un lato inquietono dall’altro ti portano subito a voler sapere come va a finire. Stupenda come in tutti i film del regista spagnolo è la location e la scelta dei particolari. Ne “Gli abbracci spezzati” Almodóvar trasformava in fredda maniera i tumulti sentimentali del melodramma e rielaborava in prevedibile narrazione cinematografica le contorte relazioni dei protagonisti; con quest’ultima fatica il regista spagnolo affonda il bisturi direttamente nella carne dei propri personaggi, e cerca di ricostruire il rapporto amoroso non più attraverso la percezione visiva  ma col contatto della pelle. Un cast di tutto rispetto Antonio Banderas, Marisa Paredes ed Elena Anaya. Bella la trama: Il chirurgo plastico Robert Lendgard nasconde nella sua villa, ex-clinica privata, il suo esperimento più prezioso: una donna di nome Vera. Dopo poche immagini intuiamo che Vera è una finzione: è la pelle che ce lo dice. Almodovar si sofferma sugli occhi, sui dettagli del viso, quell’incarnato così bianco così liscio così perfetto non può essere umano. Lendgard è distrutto dal dolore per i suicidi delle due donne che amava. La moglie che si era gettata dalla finestra dopo aver visto il suo volto sfigurato per un incidente d’auto, precipitando accanto alla figlia, che giocava in giardino; la ragazza, già traumatizzata, dopo uno stupro avvenuto durante una festa, si chiuderà in se stessa e si toglierà la vita nello stesso modo della madre. Robert aveva nel frattempo predisposto una vendetta agghiacciante… non continuo vi invito a vederlo.

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