Il Cimitero delle Fontanelle

di Emilio Vittozzi

In napoletano “’O campusanto d’ ‘e Funtanelle”: è un antico cimitero della Città di Napoli, situato in via Fontanelle, chiamato in questo modo per la presenza (in tempi remoti) di fonti d’acqua. Il cimitero accoglie 40.000 resti di persone, vittime della grande peste del 1656 e del colera del 1836. E’ noto perché vi si svolgeva un particolare rito, detto il rito delle “anime pezzentelle”, che prevedeva l’adozione e la sistemazione in cambio di protezione di un cranio (detta «capuzzella»), al quale corrispondeva un’anima abbandonata (detta perciò «pezzentella»). I resti anonimi si moltiplicarono col passare degli anni ed è qui che confluirono anche i corpi dei morti nelle epidemie. Alla fine dell’Ottocento alcuni devoti, guidati da padre Gaetano Barbati, disposero in ordinate cataste le migliaia di ossa umane ritrovate nel cimitero. Da allora è sorta una spontanea e significativa devozione popolare per questi defunti, nei quali i fedeli identificano le anime bisognose di cura ed attenzione. Alcuni teschi furono quindi “adottati” da devoti che li collocarono in apposite teche di legno, identificandoli anche con un nome e con una storia, che affermavano essere svelati loro in sogno. Per lunghi anni, il cimitero è stato teatro di questa religiosità popolare fatta di riti e pratiche del tutto particolari.

 

Si vuole che qui riposino anche i resti del poeta Giacomo Leopardi, morto durante il colera del 1836. In realtà il poeta fu inumato prima nella cripta, poi nell’atrio della chiesa di San Vitale fino a quando nel 1939 fu spostato al Parco Vergiliano anche se sui resti di Leopardi esiste tuttora un caso…

In esso furono collocate le ossa ritrovate nel corso della sistemazione di via Toledo degli anni 1852-1853, risalenti alla peste del 1656. Ed ancora, nel 1934, vi furono collocate le ossa ritrovate ai piedi del Maschio Angioino durante i lavori di sistemazione di via Acton e quelle provenienti dalla cripta della Chiesa di San Giuseppe Maggiore demolita nello stesso anno, come ricordano due lapidi ben visibili nella prima ala destra del cimitero.

La prima versione sulla leggenda del Capitano ci racconta che una giovane promessa sposa era molto devota al teschio del Capitano e che si recava spesso a pregarlo e a chiedergli grazie. Una volta il fidanzato di lei, scettico e forse un po’ geloso delle attenzioni che la sua futura moglie dedicava a quel teschio, volle accompagnarla e portandosi dietro un bastone di bambù, lo usò per conficcarlo nell’occhio del teschio, mentre, deridendolo, lo invitava a partecipare al loro prossimo matrimonio.

Il giorno delle nozze apparve tra gli ospiti un uomo vestito da carabiniere. Incuriosito da tale presenza, lo sposo chiese chi fosse e questi gli rispose che proprio lui lo aveva invitato, accecandogli un occhio; detto ciò si spogliò mostrandosi per quel che era: uno scheletro. I due sposi e altri invitati morirono sul colpo. L’altra versione raccolta da Roberto De Simone mette in scena una leggenda nera popolare: un giovane camorrista, donnaiolo e spergiuro, aveva osato profanare il Cimitero delle Fontanelle, ivi facendo l’amore con una ragazza. A un tratto sentì la voce del Capitano che lo rimproverava ed egli, ridendosene, rispose di non aver paura di un morto. Alle nuove imprecazioni del Capitano, il temerario giovane lo aveva sfidato a presentarsi di persona, giurando ironicamente di aspettarlo il giorno del suo matrimonio. Però il giovane, dimentico del giuramento, dopo qualche tempo si sposò. Al banchetto di nozze si presentò tra gli invitati un personaggio vestito di nero che nessuno conosceva e che spiccava per la sua figura severa e taciturna. Alla fine del pranzo, invitato a dichiarare la sua identità, rispose di avere un dono per gli sposi ma di volerlo mostrare solo a loro. Gli sposi lo ricevettero nella camera attigua, ma quando il giovane riconobbe il Capitano fu solo questione di un attimo. Il Capitano tese loro le mani e dal suo contatto infuocato gli sposi caddero morti all’istante.

Le ossa anonime, accatastate nelle caverne lontano dal suolo consacrato, sono diventate per la gente della città le anime abbandonate, cosiddette “anime pezzentelle”, un ponte tra l’aldilà e la terra, un mezzo di comunicazione tra i mondi dei morti e i mondi dei vivi. Queste sono un segno di speranza nella possibilità di un aiuto reciproco tra poveri che scavalca la soglia della morte: poveri sono infatti i morti, per il semplice fatto di essere morti e dimenticati, e poveri i vivi che vanno a chieder loro soccorso e fortuna.

Chi scrive c’è stato ed è stata una visita spiritual-culturale senza precedenti: sembra, infatti, che un cimitero del genere esista solo a Napoli! Visitato da Napoletani e turisti, tutti colpiti dal genere di cimitero: non un semplice camposanto, come tanti, ma un luogo dove sono raccolti migliaia e miglia di resti umani anonimi. Chi fotografa, chi scrive, chi legge le poche descrizioni, chi ricorda l’Ing. Gazzaniga di Luciano de Crescenzo in giro per quei luoghi bui ed umidi, pieni di calore umano e di fede, speranza e carità…

 

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