La strada è vuota. L’aria è pesante, il cielo è cupo, tra le nuvole grigie s’intravede un raggio di sole. Gli scheletri dei palazzi sventrati mettono in mostra quella che una volta era una casa. Su un divano un orsacchiotto e una bambola di pezza. Il sole riflette sulle trecce gialle del bambolotto. La tv è ancora accesa, parla da sola, sullo schermo un Gatto Silvestro d’annata che rincorre Titti. In bella mostra i segni di una granata sull’asfalto. “Oh oh mi è semblato di vedere un gatto”. SÌ, un gatto che cammina nel vuoto, unico segno di vita in una città che respira morte. Sul selciato un fucile solo, chissà chi lo avrá imbracciato, forse un soldato, forse un bambino. Chissà chi avrà ucciso, chissà chi sarà morto nell’imbracciarlo. Vorrei parlare al quel fucile, vorrei sapere se è stato strumento di attacco o di difesa. Poi ci penso, le armi son armi e son sempre di morte così come le guerre. Aleppo è deserta ed è Natale. Il gatto inizia a miagolare. È un suono straziante, un urlo contro il mondo, una jastemma contro l’uomo. Le nuvole sempre più grigie coprono quel raggio cupo. Tutto buio dentro e fuori. Aleppo dorme, Aleppo riposa. Un bambino esce da un palazzo ferito. È basso, sporco, ha i capelli grigi, non per l’età ma per la polvere. È solo, solo in mezzo al niente, è fiero, fiero e pieno di vita morta, è diretto verso il fucile. Lo guarda, lo prende, lo imbraccia e spara. Spara verso il cielo, quasi a prendersela con chi dall’alto ha permesso questo scempio. Spara, urla e piange. Il miagolio del gatto si fa più insistente e forte. Il cielo non risponde: è così sia!
Leave a Reply