Arriverà il vento.
Arriverà forte e spazzerà via tutto.
Il vento non conosce mediazioni, il vento è quello a cui ti aggrappi quando pensi non ci sia null’altro da fare.
Arrivò nel 94.
Avevo venti anni e sentivo lo stesso clima di odio verso chi aveva speso la propria vita per la più nobile arte creata dall’uomo: la politica. È colpa della politica se siamo ridotti così, come se la politica, i politici, fossero caduti dal pero!
Venti anni, venti lunghi anni che sento ancora sulla pelle, nelle viscere, nell’animo.
Venti anni a parlare contro il vento, venti anni a sentirsi addossare colpe dove l’unica colpa è aver provato a remare contro i qualunquismi, i populismi beceri.
Ci son voluti venti anni, ma non sono stati gli italiani, è stato il vento della giustizia non proletaria, ma della giustizia: punto.
Poi una parola, un vaffa, una strategia di comunicazione forte, chiara, di pancia, incisiva.
Parole che prudevano dove il popolo si sentiva prudere.
Quando ti prude ti ratti. Voce del verbo rattare, grattare. E quando ti gratti forte ti fai male. Tanto male. Ti fai male a sangue. E le ferite al posto di lasciarle lì, come spesso accadeva quando eravamo piccoli e ci sbucciavamo le ginocchia, te le tocchi. Togli la crosticina, fai uscire il sangue, e prendi infezione.
Le elezioni sono l’arma, l’unica arma che il popolo ha, bisogna saperla usare e noi non la sappiamo usare.
Usiamo la pancia, non la testa.
Arriverà il vento spazzerà tutto e anche questa volta la colpa sarà degli altri.
Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!
Questo lo diceva Dante nel sesto canto del Purgatorio, è passato un po’ di tempo, ma nulla è cambiato.
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