Caro Walter Veltroni ti perdono

Quando c'era Berlinguer il nuovo film di Walter Veltroni

di Tonino Scala

Quando c’era Berlinguer…

Caro Walter ti perdono. Sì, hai capito, hai capito bene, metto una pietra sopra tutti gli errori, i disastri, le catastrofi che “i figli di Berlinguer”, te compreso, hanno collezionato negli ultimi trent’anni. Lo faccio per un solo motivo, ho visto il film che hai scritto e diretto magistralmente. Un film che mi ha fatto rivivere per ben due ore un mondo, il mio mondo, quello che mi ha avvicinato alla politica, quello che mi ha fatto capire, nonostante tutto, che l’unico modo per cambiare le cose che ci circondano, sia quello di “sporcarsi le mani”. Caro Walter Veltroni, “Quando c’era Berlinguer”, il film che è nelle sale dal 27 marzo, è una sorta di indulgenza politica e laica per chi quel sogno ha contribuito a spezzarlo. Quando c’era Berlinguer, un italiano su 3 votava comunista, lo dico senza retorica, il merito non era solo del mio dolce Enrico. Era di un gruppo dirigente, di un popolo, che si rivedeva in un partito che non aveva scoperto il mondo, per utilizzare una frase della mia prof. di liceo (dove per scoprire intendeva adeguarsi). Poi il Pds-Ds-Pd ha scoperto quello che non doveva scoprire. Lo ha scoperto e come, fino ad arrivare, non al compromesso storico, bensì ad un compromesso al ribasso che ha spezzato i sogni di tanti uomini e donne che volevano e ancora vogliano una società diversa dove il lavoro, la pace, la dignità, i diritti, non fossero orpelli da esibire nei giorni di festa, ma da perseguire come scelta di vita. Caro Walter ti ringrazio, quel film, non retorico, bello, commuovente, mi ha fatto capire che quel sogno sia ancora possibile, rafforzando in me ciò che penso da sempre: la politica è una cosa meravigliosa. Devo essere sincero, non è stata la pubblicità e gli editoriali dei giornali a mandarmi nelle sale, ma lo scritto di un giovane compagno ed amico, ricevuto l’altra notte e pubblicato sul mio blog. Sabato Danzilli  studente, classe 1992 inizia così il suo scritto “Spinto dalla curiosità e dal fascino che la figura di Berlinguer esercita su di me”. Un ragazzo nato otto anni dopo la morte di Enrico che parla di curiosità, di fascino mentre nel film, all’inizio, la parte più triste della pellicola, ci sono interviste a giovani universitari, diciamo, per essere buoni, in difficoltà con la figura del leader comunista: “Berlinguer chi?” “Domanda troppo difficile”. Sabato invece non solo conosce, ma è affascinato da quest’uomo, da quella politica. Quali i motivi di questa dicotomia? Semplice, perché Sabato fa politica, si interessa del mondo che lo circonda, non pensa, nonostante tutto, che, scusate il gioco di parole, tutti siano uguali. Il film inizia con una piazza San Giovanni ripresa dal’alto, vuota, con tanti giornali con la scritta addio che svolazzano tristi. “Addio” fu il titolo del quotidiano L’Unità il giorno dei funerali di Enrico. Poi le immagini vere, il vero funerale, il pianto di militanti e conoscenti. Pensare che oggi si piange per i politici, ma per altre cose! Nel film una canzone di Gino Paoli, “Addio”, che mi ha fatto accapponare la pelle, un regalo vocale di Toni Servillo, la voce di Berlinguer, e Sergio Rubini, la voce di Pasolini. Ci sono tutti gli ingredienti per dare speranza e far scoppiare una primavera politica negli animi aridi e assopiti di una generazione, di un popolo che non crede più che la politica sia utile. Per questo ti perdono caro Walter, questo film val bene una messa, dove però non basta battersi sul petto! “Un giorno potreste cambiar nome?” gli chiede un giornalista in una delle tante tribune politiche a cui partecipa. La risposta di Berlinguer è sorridente, ma dà i brividi a chi l’ascolta con l’esperienza di oggi: “Non sappiamo cosa ci riserva il futuro, ma un terzo degli italiani ci vota anche se ci chiamiamo comunisti”. La scelta di muoversi, di reinventarsi, di sottrarsi con coraggio, non dal comunismo, ma dall’Impero sovietico, dall’immobilismo del sistema italiano, dalla centralità della Dc. Tra il 1974 e il 1976, Berlinguer vince il referendum sul divorzio, tante consultazioni elettorali, poi il compromesso storico, il sequestro moro, il terrorismo, la società che cambiava, la politica che occupava spazi di vita pubblica, la questione morale rivolta prima ai suoi,  a noi,  per paura che scoprissero, che scoprissimo, il mondo, poi i fischi al congresso socialista di Verona, le parole di Craxi, la direzione del PCI che andava da altra porte, poi, poi, poi…

Nella sala, in un caldo pomeriggio di aprile, eravamo in tre. Due sessantenni ed io, oramai quarantenne. Tutti e tre siamo usciti dalla sala piangendo. Un pianto liberatorio, di nostalgia, ma anche e soprattutto di speranza. Come scrive Natalia Ginzburg nella frase che chiude il film: “Ognuno ha avuto con Berlinguer un suo rapporto personale anche se l’ha visto una volta sola nella vita”. Proprio così. Walter hai creato un gioiellino che tanti ragazzi e tanti adulti dovrebbero vedere. Non per ricordare, ma per comprendere le ragioni di un partito, di uno stile di vita, di un modo di fare politica. La via democratica al socialismo è una cosa che ancora mi affascina nonostante si sia esaurita la spinta propulsiva per ragioni note a tutti.  Berlinguer ci lascia un testamento, lo fa da quel palco di Padova la sera del 7 giugno 1984 con il suo stile, con le sue parole semplici e chiare: “Casa per casa, strada per strada”.

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