Crisi Industiale che fare?

La crisi a Napoli ed in Provincia  rischia di degenerare in forti tensioni sociali,  è necessario imporre la questione sul piano nazionale. Il caso Napoli deve valicare il perimetro regionale e diventare questione nazionale. Oggi più che mai serve un impegno straordinario del governo perché Napoli concentra in sè tutte le contraddizioni determinate dalla crisi. Le crisi industriali in Campania investono aziende che hanno un peso nazionale e in questo senso il ruolo del governo dovrebbe essere centrale. Invece c’è una completa assenza. In provincia di Napoli il ricorso alla Cassa integrazione è cresciuto ininterrottamente da gennaio a maggio fino a toccare in tutta la regione il tetto abnorme di sei milioni e trecentomila ore di lavoro sussidiato dall’Inps e in provincia di Napoli più di quattro milioni di ore autorizzate. La CIG straordinaria è il fenomeno più inquietante perché in molti casi prelude a licenziamenti. In provincia di Napoli le ore concesse per la CIG straordinaria sono balzate a quasi tre milioni nel maggio di quest’anno e al tempo stesso si è intensificato, sempre a maggio, il ricorso alla CIG in deroga. Ancor meno confortanti sono le informazioni sui prestiti bancari cosiddetti vivi (cioè al netto delle sofferenze e dei contratti di pronti contro termine). La crisi economica che perdura quest’anno e per molti aspetti si aggrava anche in Campania, dovrebbe indurre i politici ad assumere atteggiamenti più attenti ai bisogni della popolazione, alle difficoltà del mondo del lavoro e delle imprese. Non sempre questo accade. A livello nazionale la politica oscilla tra ottimismo (”la nostra economia resiste alla crisi meglio che in altri Paesi”) e improvvise manovre restrittive della spesa pubblica che di certo non danno stimoli al mercato. A livello locale, in Campania e a Napoli in particolare, la scena politica è dominata da una lunga campagna elettorale (prima le elezioni provinciali, poi quelle regionali e l’anno prossimo quella del Comune di Napoli) che impegna destra e sinistra ad accusarsi sull’eredità del passato prossimo piuttosto che sulle possibili misure per la ripresa di un asfittico sistema produttivo.

Cronache di disastri annunciati: storie già scritte

C’é Alenia, c’è la Fiat, c’è Fincantieri e ci sono i marittimi di Torre del Greco, c’è Tirrenia, c’è Irisbus; ogni giorno ci sono nuove aziende che chiudono e centinaia di lavoratori che restano senza occupazione. Ormai i fronti della crisi industriale e produttiva non si contano più. Assistiamo ad un inesorabile svuotamento, che disegna un futuro di sottosviluppo, degrado e povertà con un Governo immobile. E’ questa l’idea di Sud che hanno nel centrodestra?

Attacchi  a dir poco ignobili. Da un lato si parla di piano del Sud dall’altro si smantella tutto lo smantellabile. Non si contano più le aziende, che dichiarano stati di crisi, piani industriali di ridimensionamento, licenziamenti. L’ultimo, tra i più clamorosi, è quello che riguarda Alenia, l’azienda di Finmeccanica che ha in Campania, da sempre, un insediamento importante e che ha manifestato l’intenzione di spostare la sede legale e di chiudere alcune sedi operative. Il piano industriale non convince i sindacati. È stato presentato dai vertici del settore aeronautico di Finmeccanica ma secondo i sindacati ci sarebbero «ancora troppe incertezze per quanto attiene alla sua sostenibilità industriale; le uniche certezze sono i trasferimenti e le chiusure dei siti (Venezia, Casoria, Roma), le esternalizzazioni e l’incertezza sulla riconferma dei lavoratori interinali. È la prosecuzione di una beffa, che dura da troppo tempo, fatta da impegni presi per conto terzi puntualmente smentiti da questi ultimi.

Tutto tace ed il piano per spostare la storica azienda dalla Capitale al Nord va avanti senza sostanziali ripensamenti. Una logica di “scambio politico” è proprio lo spostamento della storica sede legale di Alenia da Pomigliano d’Arco (Napoli) a Venegono (Varese) con la conseguente perdita per la regione Campania e per Napoli di un importante centro decisionale, da un lato, e la refusione di un consistente gettito di imposte.

Bisogna procedere ad una revisione del piano industriale annunciato dalla Alenia Aeronautica s.p.a. che, se così realizzato, comporterebbe l’ennesima perdita per il nostro territorio.

Anche il tanto vituperato piano casa, nonostante le scellerate modifiche apportate in questa legislatura, è un fallimento. A che serve ricordare ciò che Sel aveva detto in aula: ovvero che la logica del cemento tout court non crea economia?

 E’ necessario, ormai, aprire una grande vertenza campana e napoletana sui temi del lavoro, dello sviluppo, della produzione. Questa regione e questa provincia si stanno svuotando di giovani, e vive il drammatico paradosso dei padri che perdono il lavoro e dei figli che non ne trovano uno. Bisogna costruire risposte, immediatamente, in termini di sistema e non solo per singole aziende. Mettiamo intorno ad un tavolo i soggetti istituzionali, sociali ed economici e lavoriamo ad un progetto. Altrimenti, qui, muore anche la speranza.

Non è possibile puntare solo sull’ offerta paesaggistica, storica e architettonica, un patrimonio da tutelare e valorizzare, nelle economie moderne e avanzate tutto si tiene. Occorre sostenere con decisione la necessaria contestualità tra politiche di rigore e politiche di sviluppo. Un territorio con i conti pubblici in ordine ma privo di vitalità economica, non ha molto futuro. Il rigore della spesa pubblica deve essere inteso quale precondizione per azioni di sostegno alla crescita. Selezionando gli obiettivi strategici, puntando sulle eccellenze, sostenendo l’innovazione, agevolando gli investimenti. Se è vero, come sostenuto dal presidente Napolitano, che proprio il tema della crescita ha assunto i toni di una drammatica urgenza per il Paese, per il Mezzogiorno tali considerazioni appaiono ancora più stringenti.

 

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