Ore 23:00 del 23 dicembre. Milano, stazione di Milano.
Tonino spegne la sua ultima sigaretta e sale sul treno. Freccia del sud, un treno zeppo di meridionali, di sudici, di terroni, come li chiama qualcuno. Ultima fermata Agrigento, arrivo il 24 alle ore 23:00 giusto in tempo per lo spumante di mezzanotte. “Freccia del Sud” così veniva chiamato quel treno sudicio e puzzolente, quel direttissimo che collegava Milano Centrale alla Sicilia. Un nome sintomo di speranza, desiderio, sogno, lavoro. 1546 km tra Milano e Palermo, 23 ore e 55 minuti di miraggi, di attese, di delusioni, di affetti, di odio e rancore, “odi et amo” verso una terra, una terra bella e lontana. Una freccia che partiva dal sud verso il nord, dal nord verso il sud. Dalla terra all’industria, dall’arretratezza al progresso, dal cielo stellato alle lastre di cemento e asfalto. Un treno che era ritorno, per uno due giorni a Pasqua, a Natale, per la morte di un caro, quindici giorni a Ferragosto, un treno verso l’ombelico, il liquido amniotico, verso gli amori. Un treno, un oriente express fatto di ultimi in una vita a rate senza scadenza.
Tonino fa questo da sei lunghi anni, da quando aveva 24 anni. All’inizio la prendeva ogni mese, poi ogni tre ed ora due volte l’anno: a Natale e a Ferragosto. Sembra il Titanic la Freccia del Sud. Migliaia di emigranti che tornano nella loro terra per pochi giorni, per abbracciare i propri cari, ma non solo. È un viaggio alla riscoperta degli odori, alla ricerca dei luoghi, un viaggio per abbracciare “LEI”: Amara terra mia come dicevano Modugno e la Bonaccorti. Stare lontani dalla propria terra è come staccarsi dal cordone ombelicale, dalla mamma. Il distacco lo fai, ma è per forza maggiore. Solo ed esclusivamente perché lo devi fare, ma il legame, l’attaccamento, quella simbiosi ancestrale resta: ’a mamma è sempe ’a mamma!
Tonino non arriva fino in Sicilia.Tonino ha come sua mamma Torre Annunziata. La donna che lo portò alla luce, Michelina, morì quando lui era ancora piccolo. Gli è rimasto solo Mario, suo padre. Mario e la sua Torre Annunziata, l’antica Oplonti. Mario dopo la morte della moglie non si è più risposato. Si è dato anima e corpo all’unico figlio. A Tonino e al suo lavoro. Lavorava alla Deriver Mario, nel quartiere Rovigliano di Torre Annunziata, di fronte allo scoglio, alla Petra Herculis. Un grande lavoratore Mario, credeva nella fabbrica, nel mondo operaio, nel suo mondo: La Deriver. Un’industria siderurgica del gruppo Ilva, a partecipazione statale. Una fabbrica sul mare, sul golfo più bello del mondo che fabbricava laminati, tondini, binari ferroviari. Una grande fabbrica, un grande gruppo che negli anni ottanta era ancora un’azienda forte, con centinaia di dipendenti. Leader del settore, nessun concorrente in Italia anche se iniziava a farsi strada una ditta privata, la Redaelli.
Mario lavorava con la speranza di poter lasciare il suo posto al figlio, come era accaduto per le generazioni precedenti. Era questa la sua America, la fabbrica. La fabbrica era tutto, era dignità, era il paradiso per la classe operaia, era libertà, era lavoro in una terra senza lavoro, era emancipazione, era “bandiera rossa trionferà” e compagni dai campi e dalle officine, l’orgoglio di essere operai, sguardo fiero, partecipazione, lotta di classe, voi gente perbene che pace cercate…
La Deriver era una grande famiglia e lo si capiva dal Cral. A Natale davano il pacco con la Pasta Setaro, una pasta artigianale famosa nel mondo, fatta a Torre. All’Epifania la calza della befana con il giocattolo. La borsa di studio per gli studenti meritevoli. Tonino ogni anno riceveva il diploma per il merito e l’assegno di cinquecentomila lire che in famiglia facevano comodo.
Poi la crisi.
Tonino aveva capito che doveva scappare da quella terra, che doveva fuggire da Fortapàsc. Decise di andare via, una mattina di settembre. Si alzò, si preparò la valigia e decise di prendere la Freccia del Sud. Mario non disse nulla, gli diede quattrocento euro: «È tutto quello che ho, ma appena arriveranno gli arretrati della mobilità ti mando altri soldi con un vaglia postale» disse.
«Tranquillo, appena posso ti chiamo».
«Statte accorte».
Tonino e Mario erano due corpi, una sola persona. Dopo la morte di Michelina si erano fatti coraggio uno con l’altro ed andavano avanti solo grazie a questo legame. La partenza fu straziante per entrambi.
Il fischio del capotreno, ore 23:05 e la Freccia del Sud parte. Quanta gente, quante storie. Massimo Troisi con Ricomincio da tre aveva tentato con l’arma della ironia di cancellare lo stereotipo del napoletano, dell’uomo del sud visto solo come emigrante. Ma gli emigranti esistono ancora. Il nostro è un popolo migrante. I napoletani, i palermitani, i reggini li trovi in ogni piazza, in ogni anfratto, in ogni vicolo d’Italia, d’Europa, d’America. Ma se prima si partiva con la valigia di cartone, oggi la migrazione è di tipo intellettuale. Parte la meglio gioventù, fatta di diplomati, laureti, dottorati, che portano il loro sapere a terre lontana impoverendo di fatto la terra che amano. La speranza è e resta sempre quella di tornare ma… a volte questa speranza muore. Basta vedere qualche servizio in TV sui mali del sud e “l’odi et amo” di catulliana memoria aumenta. Amore sì, ma anche odio per un territorio che non offre nulla. Tengo ’o sole… ma a cche me serve chistu sole?
Tonino si era laureato a 22 anni in matematica, due anni alla ricerca di lavoro, niente, non serviva a nessuno la sua conoscenza, il suo sapere. Aveva vinto un concorso per una cattedra in Campania, ma arrivò la cd riforma della scuola, allora la partenza, il distacco ed in soli tre giorni a Milano l’arrivo di un lavoro. Prima in una industria metalmeccanica come operaio, poi impiegato dopo solo un mese. Oggi lavorava in una scuola paritaria, guadagnava 1200 euro al mese. Le scuole a Torre e nell’hinterland gli avevano offerto di lavorare gratis in cambio del punteggio per scalare la graduatoria ministeriale. Ma Tonino aveva vinto il concorso, era in attesa di essere assunto, in attesa della lettera di assunzione nella scuola pubblica nella sua terra. Tonino non ha voglia di tornare se non per abbracciare Mario, il “mammo”, il padre che lo ha cresciuto. Il padre che gli ha insegnato il valore della vita, delle cose, la dignità, l’essere uomo.
La Freccia del Sud parte e con essa viaggiano le storie dei tanti Gennaro, Catello, Carmelo, Franco, Eusebio, Cuono, Franco, Ciriaco, Procolo. Tanti i nomi, tanti i paesi da associare, un unico comun denominatore: la fuga forzata dai propri affetti, dal proprio amore.
La rabbia, i perché, i percome, i film di Totò, le canzoni di Nino d’Angelo, Terra mia di Pino Daniele, la cassata, la mozzarella di bufala, i film di Franco e Ciccio, il “Mattino”, ’o suffritto, ’o ragù, Natale in casa Cupiello, Nu Bambiniello e tre San Giuseppe, la pizza, le sfogliatelle, il Napoli, la squadra che unisce i meridionali. Corre la Freccia del sud, corre senza far rumore, corre mentre il paese pensa al federalismo fiscale, ai tagli alla sanità.
Corre la Freccia del Sud, corre porta storie, racconta storie, drammi, corre zeppa di carne umana, di pacchi su pacchi, borse su borse, regali su regali.
Nella Freccia del Sud la notte non si dorme, ci si tiene compagnia giocando a scopa, nascono storie, si sta con gli occhi aperti. Eppure sono tutti nella stessa barca: c’è paura. La paura di essere derubati da propri conterranei. È strano a pensarlo, ma a distanza di quaranta anni ci sono ancora squadre di ladri che aspettano il colpo di sonno per fregarsi le valigie. Partono di solito in quattro, due fanno il palo, uno nel corridoio di destra e l’altro in quello di sinistra. Gli altri due entrano negli scompartimenti, uno prende le valigie, le passa all’altro ed il gioco è fatto. Andata e ritorno, tanti i furti a chi sta’ peggio o comme a lloro! Una giungla.
Alle 12:00, dopo tredici ore, il treno arriva a Torre Annunziata, Torre Centrale. Con Tonino scendono in tanti, tante storie: Terzigno, Castellammare, Boscoreale, Trecase, Pompei, Sant’Antonio Abate, Torre del Greco.
Tonino scende, sul binario due, ad aspettarlo c’è Mario. Tonino lo guarda, in pochi mesi è invecchiato. Stesso sguardo, stessi occhi fieri, qualche ruga in più e stesso cappotto da oltre dieci anni. Un abbraccio, un bacio.
Mario prende una delle due borse: «Tutto bene, com’è andato il viaggio?»
«Bene, Bene».
Sono contenti padre e figlio, sono contenti di rivedersi dopo quattro lunghi ed sconfinati mesi. L’ultima volta che sono stati insieme è stato il 30 Agosto quando Tonino partì per Milano.
«Jamme a truvà a mammà».
«Sì».
I due salgono nella Fiat Uno rossa e vanno al cimitero. Il camposanto è sempre pieno nei giorni di festa, si apparecchiano le tombe come le tavole la sera della vigilia. Un lumino, una rosa e Mario e Tonino salutano la propria donna.
Al ritorno i due si fermano nella zona del porto, nella zona vecchia dove c’è il mercato. Quanto colore, quanti ricordi. Un chilo di vongole, un po’ di gamberoni e di seppie per la frittura e mezzo chilo di mignon. Passeggiare per quei vicoli che sanno di storia e di storie da sempre emozione. Vedere quel porto oramai in disuso, il circolo dei pescatori dove avvenne la strage di San Valentino, la chiesa, la Madonna della Neve, il circolo del Savoia, la scritta B in bianco e nero. Che orgoglio quando la loro squadra fu promossa nella serie B a discapito della Juve Stabia. Poi il ritorno in macchina in viaggio verso casa.
«Tengo na cosa pe te».
«Immagino».
«Sì».
«È arrivata».
«Ah!»
«Tiene» e gli consegna una busta con su scritto Ministero della Pubblica Istruzione.
Tonino è in macchina, guarda la lettera, la tanto agognata lettera che aspettava da sei anni. La guarda, ma è triste. Non crede ai suoi occhi, guarda la lettera ed il padre. Il padre e la lettera. Lo stereo a cassette della Fiat Uno ignaro del momento cantava: “Erba di casa mia cresciuta in fretta e poi andata via…”
Mario guarda Tonino e con una freddezza gli dice:
«Che faccio, ’a straccio io o ’o ffaje tu!»
* Una pagina di Letteratura Italiana piena, densa di emozioni, sensazioni, sentimenti, di ogni genere. Una pagina che se la rileggi e chiudi gli occhi è come se fosse una scena di un film sull’emigrazione, sulla rabbia e sulla paura degli “ultimi”. Mario e Tonino, padre e figlio, Mario ex Operaio della Deriver, Tonino futuro… Un nucleo familiare come tanti, tantissimi altri, padre e figlio o madre e figlio, dove si fa fatica a mettere a tavolo il pranzo e la cena e a pagare tutte le incombenze mensili (fitto casa, luce, acqua, telefono, spazzatura, immondizia, canone televisivo, ecc. ecc.). Come finirà la storia? Lo sa il sagace Tonino Scala, lo sa l’Onnipotente, creatore del cielo e della terra. Lo sanno i tanti, tantissimi Meridionali nelle stesse, identiche, asociali condizioni.
Io, quando facevo il pendolare per l’Italia, ho preso il treno do’ sole cantato da Mario Merola e ho vissuto la situazione del Tonino di questo racconto, anche se poi si chiamavano Gennaro, Mario, Antonio, Ciro, Mauro, ecc. ecc….
Sarebbe bello poter dire che questi treni non ci sono più, ma non è così…