Il mio dodicesimo giorno della seconda quarantena non si apre e si chiude con un commento quello di Emmanuel Macron che omaggia Maradona:
“Il presidente della Repubblica saluta questo sovrano indiscusso della palla rotonda che i francesi hanno tanto amato”. Con una nota ufficiale dell’Eliseo Macron ricorda commosso el Pibe de Oro
La mano di Dio aveva deposto un genio del calcio sulla terra. Se lo è appena ripreso, con un dribbling imprevisto che ha ingannato tutte le nostre difese. Voleva, con questo gesto, porre fine al dibattito del secolo: Diego Maradona è il più grande giocatore di calcio di tutti i tempi? Le lacrime di milioni di orfani rispondono oggi con dolorosa evidenza.
Nato in un sobborgo povero di Buenos Aires, Diego Armando Maradona fa sognare la sua famiglia e il suo quartiere con i suoi doppi passi che presto tormenteranno i migliori difensori europei. Il Boca Juniors e i mitici derby lo fanno conoscere al calcio mondiale. È il Barcellona a portare a casa il diamante, credendo di aver trovato finalmente il successore di Johan Cruyff per dominare ancora una volta il calcio europeo. Ma è a Napoli che Diego diventa Maradona.
Nel sud Italia, il Pibe de oro ritrova la dismisura degli stadi sudamericani, il fervore irrazionale dei tifosi e trascina il Napoli sulla via dello Scudetto, sui tetti d’Europa. Il mezzogiorno ottiene la sua rivincita sulla storia ed è solamente grazie al rinforzo di Platini che la Juventus potrà combattere nuovamente ad armi pari con il suo storico rivale.
Giocatore sontuoso e imprevedibile, il calcio di Maradona non aveva nulla di preparato. Con un’ispirazione inesauribile, inventava costantemente dei gesti e dei colpi che provenivano da un altro pianeta. Ballerino sui tacchetti, più artista che atleta, incarnava la magia del gioco. Ma doveva ancora scrivere la storia di un paese devastato dalla dittatura e dalla sconfitta militare. Questa resurrezione è avvenuta nel 1986, nella partita più geopolitica della storia del calcio, un quarto di finale di Coppa del mondo contro l’Inghilterra di Margaret Thatcher. Il 22 giugno 1986, a Città del Messico, segna il suo primo gol con Dio come compagno di squadra. Il miracolo viene contestato, ma l’arbitro non vede nulla: la spavalderia di Maradona ha la meglio.
Poi arriva “il gol del secolo”, che convoca le anime dei più grandi dribblatori del calcio: Garrincha, Kopa, Pelé riuniti in una sola azione. In una corsa strabiliante di cinquanta metri, supera metà squadra inglese, dribbla il portiere Shilton, prima di mandare la palla in rete e l’Albiceleste in semifinale di Coppa del Mondo. Dio e diavolo nella stessa partita, segna i due gol più famosi della storia del calcio. C’era un re, Pelé, ormai c’è un Dio, Diego. Con la stessa grazia, la stessa magnifica insolenza, arriva fino alla finale dove lascia il segno con il gesto più bello del calcio: l’assist, il gol dei numero 10.
Quando alza il trofeo, è nato un mito: l’enfant terribile è diventato il miglior giocatore del mondo. E il Mondiale torna in Argentina: questa volta è l’Argentina del popolo, non quella dei generali. Diego Maradona vivrà questa passione per il popolo anche fuori dal campo. Ma le sue spedizioni presso Fidel Casto e Hugo Chavez avranno il sapore di una sconfitta amara. È sui campi di gioco che Maradona ha fatto la rivoluzione.
Il presidente della Repubblica saluta questo sovrano indiscusso della palla rotonda che i francesi hanno tanto amato.
A tutti coloro che hanno risparmiato sulla loro paghetta per completare finalmente l’album Panini di Messico ’86 con la sua figurina, a tutti quelli che hanno tentato di negoziare con la propria compagna per battezzare il proprio figlio Diego, ai suoi compatrioti argentini, ai napoletani che hanno disegnato degli affreschi con la sua effigie degni di Diego Rivera, a tutti gli amanti del calcio, il presidente della Repubblica porge le sue commosse condoglianze.
Diego se queda.”
Che sia un buon giorno
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