di Tonino Scala
Fa un freddo cane, tira vento e son passati otto lunghi giorni dall’inizio di questo secondo lockdown. Una settimana di tensione, di passione, di paura guardando il mondo da una finestra. Una finestra aperta su un mondo che pure lui ha paura.
Si parla di Natale, di fare Natale come si dice dalle nostre parti. È una questione economica, lo comprendo, il Natale conta lo 0,8 punti percentuali di Pil secondo Confindustria. Ma la riapertura, la normalità se così si può definire, a quale costo? Faccio una premessa: Non sono un tutelato. Dico questo perché in questi mesi la paura ha portato, come spesso accade, a costruire una guerra tra poveri, quella tra le partite Iva e i lavoratori dipendenti. Il mio è un lavoro strano, se le scuole sono chiuse, e anche se aperte non si può entrare dentro per ovvi motivi, non lavoro. Il mio ultimo giorno di lavoro, vero, risale al 4 marzo a Prato poi… Ho voluto precisare questa cosa onde evitare questa frase ridicola che sento spesso, troppo spesso. Ritorno alla domanda: a quale costo? Sì, perché bisogna comprendere il costo sia in termini economici che di vite. Quando dico di termini economici, parlo di mancati introiti e di costi per la salute. Con questa bilancia bisogna fare i conti. Sì, perché anche lo stress del servizio sanitario è un costo, al di là del costo più importante che è la vita. Quanto ci costerà in termini economici e di vite questo ritorno alla normalità?
E se quei soldi si investissero in un reddito di esistenza, un taglio di tasse relativo alle chiusure e chi più ne ha più metta? Non sarebbe più saggio e meno dispendioso?
Lo dico a chi di economia ne capisce e faccio un appello al buon senso, che purtroppo da troppo tempo manca.
Buona domenica.
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