i Tonino Scala
Don Peppe ‘o baffone anche oggi, come tutti i santi giorni, teneva la luna storta.
Da quando Ninetta, la moglie, aveva deciso di passare a miglior vita, a pochi giorni dal Santo Natale, si era chiuso in sé stesso e non teneva voglia di vedere e di sentire nessuno.
Era chiuso d’inverno in cantina, tutto il resto dell’anno indaffarato nella sua vigna in collina. Erano le uniche cose che gli davano soddisfazioni.
Travasava il vino, puliva le bottiglie, preparava, con l’aggiunta di un poco di zucchero, lo spumante, ma si limitava a fare questo. Era il suo lavoro. Alla vendita ci pensava il suo unico figlio che aveva il sole negli occhi. No, non era accecato. Era un sole proprio scoperto con l’arrivo di un pargolo. Sì, un piccolo marmocchio con il nome del padre, nato dopo il matrimonio con Anna, la figlia della vicina di casa. Quell’arrivo gli aveva cambiato la vita dandogli luce dopo anni di buio.
Questa luce però non era giunta al nonno che ogni volta che vedeva il nipote che stava crescendo e bene, si girava dall’altro lato e talvolta se ne andava in cantina a lavorare per non guardarlo negli occhi.
Com’era bello il piccolo Peppe. Teneva gli occhi castani, i capelli ricci, lo sguardo innocente e nello stesso tempo furbo come solo i bambini hanno. Con una bicicletta con le rotelle girava per la casa, distruggendo ogni cosa, era una piccola peste, un vero e proprio terremoto, ma se incrociavi il suo sguardo, dimenticavi ogni malefatta. Questo il nonno lo sapeva, proprio per questo sfuggiva.
Mancavano pochi giorni al Natale, quell’atmosfera che è difficile spiegare, bisogna viverla per capirla, rallegrava i cuori e gli animi di grandi e piccini. Le luci degli alberi addobbati a festa si riflettevano negli occhi di chi li guardava. Le case erano addobbate, i presepi pronti ad accogliere il bambinello, insomma tutti aspettavano quel santo giorno. Tutti, tranne uno: don Peppe.
Per lui il Natale era finito più di dieci anni fa, quando dopo una lunga malattia la sua Ninetta aveva deciso di lasciarlo.
Più si avvicinava quel santo giorno e più lui si rintanava in cantina a perdere tempo, facendo finta di lavorare. Aspettava il figlio che veniva a rifornirsi di vino che aveva già preparato in bottiglie e fiaschi di grandi dimensioni.
“Fatti tornare le bottiglie” – era l’unica cosa che sapeva dire.
Faceva freddo, nella cantina poi, il freddo dell’inverno appena arrivato, si sentiva di più, molto di più.
Don Peppe armato di cappello di lana, di maglie a collo alto con un giubbotto imbottito da una finta pelliccia era lì che si perdeva nel niente. Guardava e riguardava quelle bottiglie di vino. I suoi baffi, enormi, che prendevano tutta la faccia, rispecchiava in quel vetro scuro delle bottiglie delle spumanti. Ad un tratto, mentre era assorto nel suo dolce far niente, la porta si aprì. Don Peppe stava guardando i suoi baffi riflessi, si girò, ma non vide nessuno. Intanto il cigolio di una cerniera che aveva bisogno di essere oleata, contava insistente a riempire quella cantina: qualcuno stava aprendo la porta in modo lento.
Sarà il vento pensò, il cigolio però continuava piano, ma con costanza, di sicuro qualcuno stava continuando ad aprire quella porta.
Don Peppe con lentezza si alzò, andò verso la porta, ma… Non c’era nessuno. Poi abbassò lo sguardo e vide Peppe, il nipotino tutto occhi che lo guardava.
“Ciao nonno” – Disse.
Don Peppe non proferì parola.
“Ma tu stai sempre qui? “
Don Peppe lo guardava negli occhi grandi e impotenti. Somigliavano a quelli di Ninetta.
“Perché non mi rispondi? Hai perso la lingua? ” – Continuò il nipotino che continuava con insistenza a guardarlo.
Anche il nonno lo guardava, era preso da quello sguardo. Poi trovò la forza per rispondere:
“Non ho perso la lingua, sono solo pensieroso”.
“E a cosa stai pensando? Al Natale?”
Rise don Peppe. Non disse nulla, rise solo.
“Perché ridi?”
Don Peppe a questo punto si abbassò. Arrivò piegandosi all’altezza degli occhi del nipote. Lo guardó, poi disse:
“Perché fai tante domande”.
Rise anche Peppino. Che iniziò a toccare i baffi del nonno.
“Come sono grandi? Cosa sono?”
“Sono i mustacci” – Disse ridendo.
“Ah ah ah, che nome buffo” Il bambino continuava a toccare. Il nonno continuava a guardare e a ridere. Non rideva da molti anni, troppi anni.
“Posso vedere il tuo laboratorio?”
“Laboratorio? “
“Papà lo chiama così. Dice che tu sei qui a lavorare a creare un vino buono che piace tanto alle persone”.
“Dice questo il tuo papà?”
“Sì, ma dice anche tante altre cose”.
“Tipo?” Disse con lo sguardo cupo.
“Che sei buono!”
Don Peppe prese per la mano il nipotino e lo portò in giro nel suo “laboratorio”.
“Ma tu… Li sai fare i biscotti?” – la domanda del bambino.
“I biscotti?”
“Sì. Papà mi dice che quando era piccolo tu e la nonna a Natale facevate dei biscotti al cioccolato buonissimi. Li fai anche a me?”
Don Peppe nel vedere quegli occhioni luccicanti che somigliavano agli occhi della sua amata disse…
“Sì!”
“Che bello… “
“Peppino dove sei?” Si sentì una voce era quella del papà di Giuseppe, il figlio di don Peppe.
“Sono qui, vengo subito” – Rispose il bambino. Che diede un bacio al nonno, poi continuò: “Torno domani, mi raccomando i biscotti”. E andò via.
” E mo’ comme faccio?” Pensò don Peppe. “Sono anni che non mi cimento in cucina… “
Chiuse la cantina tornò a casa e parlava tra sé e sé.
“Da dove lo prendo il mosto?” – I biscotti che preparava con la moglie erano a base di mosto. – “L’ho utilizzato come concime e mo’ come faccio? “
Aveva la farina, la cioccolata fondente, lo zucchero, la scorza d’arancio, il cacao e le mandorle.
“Manca il pisto… ” Poi si ricordò che in un barattolo c’era ancora, intatto, quello che preparava Ninetta. Lo aprì. L’odore era uguale.
Si pulí le mani e iniziò a impastare. Impasta e piangeva. Piangeva e rideva. Piangeva perché i ricordi riaffioravano, rideva perché ricordava i momenti belli passati con sua moglie in cucina. Rideva pensando ai vestiti pieni di farina. Piangeva pensando agli occhi di suo nipote che erano uguali a quelli della moglie.
Intanto l’odore di quei biscotti aveva riempito la casa. Mancava l’ultimo tocco, il bagno nella cioccolata fondente.
La notte passò tra lacrime e riso in un sonno profondo e sereno. Appena il gallo cantò, come ogni giorno don Peppe si alzò, andò in cucina a prepararsi il caffè, prese un foglio di carta trasparente impacchettò i biscotti del nipote e ne lasciò due fuori. Uno lo mangiò e…
“Anche se non c’è il mosto, è buono. Molto buono” – Disse tra sé è sé. Poi prese il caffè e andò in cantina con il sorriso sulle labbra.
Toc toc
Stavano bussando alla porta.
“Entra” – Disse il nonno.
“Ciao nonno… “
Don Peppe gli andò incontro, lo prese in braccio e disse:
“Vieni con me… “
“Dove andiamo? “
“Ho una bella cosa per te!”
I due salirono le scale entrarono in casa e entrarono in cucina.
Sul tavolo c’erano i biscotti confezionati in modo semplice, ma con cura.
“Che belli!”
“Sono anche buoni, assaggia” – E prese il biscotto che aveva conservato.
Aveva la forma di un rombo ed era ricoperto di cioccolato fondente.
Peppino diede un morso.
“Buono” Disse. Poi continuò “Come si chiamano?”
“Biscotti… Non hanno un nome”.
Peppino prese il biscotto lo guardò, poi chiese al nonno di abbassarsi.
Iniziò a ridere. Rise anche don Peppe che disse:
“Perché ridi?”
“Guarda” Accostando i biscotti ai baffi del nonno ” Somigliano ai tuoi mostacci”
“Vero” – Rispose il nonno che continuò – “Allora… Li chiameremo mustacciuoli!”
Fu così che nacquero i mustacciuoli. Fu così, grazie al piccolo Peppino, che nella casa di don Peppe tornò il Natale e pure quei biscotti carichi di ricordi.
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