Il Gattopardo

di Sabato Danzilli

Nei giorni scorsi ho rivisto “Il Gattopardo”, ma anziché Alain Delon, nel ruolo di Tancredi c’era  Matteo Renzi. Il cambiamento percepito come una necessità da una fascia amplissima e trasversale della popolazione è visto come opportunità per il mantenimento dello status quo. Tutto questo è unito al mito marinettiano della velocità, illudendosi di poter competere con la finanza, capace di spostare miliardi in frazioni di secondo.
Come se la democrazia fosse un capo di governo non legittimato da elezioni, che impone una legge ad un’assemblea di nominati tramite le liste bloccate ed un’altra di nominati per cooptazione, e non discussione, partecipazione,  elaborazione di idee diverse, che entrano in contatto, si mischiano e si arricchiscono reciprocamente.
E le persone,  affrante e sfiduciate dal teatrino della politica, vogliono meno teatranti, non eletti e senza indennità, ma non cambia la sostanza: 50 o 100 attori in meno non modificano la natura, una recita, di cui la popolazione è solo passiva spettatrice.
Le modifiche costituzionali ed in materia di legge elettorale,  così come previste, rafforzano l’establishment ed impediscono la partecipazione attiva del semplice cittadino.
Questo i gattopardi lo hanno capito bene.
“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. Il vero cambiamento non è stravolgere la Costituzione ma applicarla, finalmente, magari dopo averne ritrovato la fiducia della gente. Per ritrovarla occorre dargli voce, farla sentire rappresentata, non attraverso un leader rassicurante e plebiscitario, ma dando l’opportunità ai cittadini di influire realmente nel processo decisionale.  Renzi ha detto che vuole un PD al 40% alle prossime elezioni,  ma al di là della percentuale più o meno alta alle elezioni il più grande pericolo per la democrazia è l’affluenza che crolla drammaticamente. Vincere le elezioni senza partecipazione di gran parte della popolazione è inutile, se non dannoso. Occorre ripartire da qui.

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