di Tonino Scala
Ogni qualvolta si parla di Castellammare si fa riferimento ad un libro di Ferrarotti, la piccola città. Un misto tra romanzo di vite e l’indagine sociologica, Franco Ferrarotti con Elio Uccelli e a Gianfranco Giorgi Rossi analizzava una piccola città, la mia, per analizzare il Paese. «La storia qui pesa, Il passato è per ciascuno un preciso, o forse l’unico, punto di riferimento…» c’era scritto così ne “La Piccola Città”. Leggendo le seicento e più pagine dell’inchiesta, c’è tutta quell’analisi sociologica di una piccola città, o meglio di una città piccola piccola, che è il mondo contemporaneo del Paese nel quale viviamo, quel peso della storia, delle storie personali, lo vedi, lo senti, lo percepisci. Come ho già ribadito, non m’interessa solo l’aspetto giudiziario, di ladri di galline è piena la letteratura quotidiana, questo indigna e sconvolge in un mondo che lascia passare ogni cosa, ma vorrei provare ad analizzare un altro aspetto, non sono un giustizialista, la magistratura faccia il suo corso e anche se tutto dovesse andare come spesso accade a bolle di sapone, resterebbe la gravità di vicende che non hanno solo risvolti penali, ma politici, sociali, che solcano il quotidiano. Amo utilizzare espressioni popolari, sono quelle che più riescono a definire con parole semplici e immediate cose, vicende. Non m’interessa solo aspetto giudiziario, anche se con grande interesse leggo quelle pagine per capire, per avere conferme di cose denunciate, di questioni che tutti sapevano, m’interessa capire e analizzare l’aspetto socio politico culturale. Dall’inchiesta, non solo da queste ultime pagine, ma dal romanzo criminal- sociologico- politico emergono molte cose. Una borghesia piccola piccola, una politica ancor più piccola, funzionari straccioni e compiacenti, una camorra in grado non di condizionare appalti condominiali e grandi opere, ma di farsi politica dettando la linea, una politica che abdica al proprio ruolo. La cosa più eclatante, denunciata tante volte al punto da essere stati relegati, talvolta, a mera testimonianza, la subordinazione ad una classe imprenditoriale che non condiziona, ma si sostituisce a quella politica gettando le carte. Di come una delibera di consiglio comunale, considerata lesa maestà, quella del febbraio del 2010, perché contrastava l’interesse di un singolo, una speculazione. Di come un atto che aveva una visione di città, in questo pezzo di territorio si fa turismo, si creano posti di lavoro, non case, abbia paralizzato, per un interesse di una piccola parte, più di dieci anni di attività amministrativa, tarpando le ali a una città che non poteva e non può permettersi di non volare. Consigli comunali sciolti anticipatamente, cinque amministrazioni che ancora girano e rigirano intorno alla stessa storia ritornando, come nel gioco dell’oca, al punto di partenza. Se penso che in questa storia alcuni di noi abbiano avuto il ruolo urlatori seriali per la serie “urla tu, tanto nessuno ti pensa”, un po’ rido, un po’ rifletto su quello che siamo diventati. Ritornando a “La Piccola città”, il filo conduttore del lavoro di Ferrarotti conduceva all’identificazione di quei fattori di lacerazione tra l’antico tessuto culturale pre-operaio e post-contadino e la nuova cultura industriale, sullo sfondo della ricostruzione post-bellica. Lacerazione tra un’identità fieramente operaistica e una dimensione postindustriale che si ancora non ha valori fondanti come quelli della ricostruzione, ma a quelli complessi, deboli e polverizzati della nostra civiltà postmoderna. La città piccola piccola, il libro ancora da scrivere, è un triste romanzo di periferia di una città che pur essendo una Piccola Città, si ripiega su se stessa diventando piccola piccola al punto che per ridiscutere di quella vicenda, c’è voluta una mozione di una piccola forza di minoranza nell’estate scorsa, quella che ho l’onore e l’onere di rappresentare, seguita da una nota dei legali della società che riproponevano che non c’era nessuna revoca di atti amministrativi che la stessa era valida e giuridicamente efficace. Per non parlare del seguito di questo romanzo semplice e intrigante che nel dicembre del 2019 vede altro capitolo con un titolo: Se pagassero due milioni di euro al comune, potrebbero costruire le case. Infatti, nell’atto ricognitivo protocollato il primo ottobre dal capo del settore urbanistico si leggeva: «Si rende necessario procedere con un atto di diffida assegnando un congruo termine (30 giorni) per l’adempimento al pagamento degli oneri, nonché contestualmente richiedere tutti gli adempimenti indicati nell’istanza di accoglimento del progetto». Atto che al momento della conoscenza due mesi dopo non era ancora partito. Sarà mai partito? Il sindaco dice sì, ma al momento non abbiamo mai ricevuto nessuna comunicazione. Guardando sul sito del comune non c’è traccia di determine dirigenziali in tal senso. Di sicuro il sito non è aggiornato. In quel mese di dicembre, la conclusione cui giunse il dirigente andava nella direzione opposta a quella auspicata dal Consiglio, nei fatti riattivava la procedura e la validità del permesso a costruire, invece di prendere atto della sua decadenza. Questi atti chiesi che fossero consegnati alla Procura della Repubblica. È stato fatto? Credo, spero di sì, ma non ne abbiamo contezza. Perché ci fu questa mia richiesta? Erano trascorsi 60 giorni dalla presentazione dell’atto ed era lecito, credo, capire cose fosse successo in questo lasso di tempo. Il dubbio di questa storia infinita è semplice: sono state fatte tutte le cose che dovevano essere fatte? La revoca è stata effettuata? Lo scopriremo vivendo che per chi avrà questa fortuna. La cosa che più mi lascia perplesso è il non imbarazzo rispetto alle vicende, il non prendere posizione, so che non è una vicenda giudiziaria, ma non di sola giustizia vive l’uomo. La storia è il canale attraverso cui fluiscono i rancori, le nostalgie, le incomprensioni dell’oggi: un flusso che non conosce la strada del futuro, ma si proietta di continuo nel passato. Questa lunga considerazione di Ferrarotti mette in luce le specificità della comunità stabiese che riaffiorano ancora e forse avverrà tante altre volte. In questa vicenda pochi si salvano, tanti hanno frequentato case facendole diventare il sancta sanctorum di questioni politiche che politiche non erano. La vicenda, ripeto, non è giudiziaria, è politica e sociale. La politica ne la città piccola piccola è diventata supina ad interessi di parte che l’hanno paralizzato per troppi anni.
Il corso della storia può sempre cambiare, ma serve volontà, non solo politica, ma abbiamo come città piccola piccola questa volontà? Abbiamo voglia di tornare ad essere La Piccola Città?
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