Pompei: un disastro annunciato

Sembra ieri era il 22 febbraio del 2010 presentavo nella città mariana un dossier, la mia verità sul commissariamento degli Scavi di Pompei. Oggi altri  crolli che insieme a quelli degli scorsi anni rischiano di dare il colpo di grazia ad un pezzo di storia del nostro paese. Avevo ragione, ma a che serve oggi ricordarlo. Pompei, si proprio Pompei, la città romana sepolta dalla cenere del Vesuvio, Patrimonio dell’Umanità protetta dall’Unesco dal 1997. Un patrimonio che continua a soffrire, duemila anni dopo, per l’abbandono e l’imperizia delle autorità. Tanto, che per la prima volta in Italia un sito archeologico veniva sottoposto a commissariamento. Nel lavoro redatto si passava sotto la lente di ingrandimento due anni di gestione commissariale: “Commissariare Pompei non è servito a riportare l’area in un alveo di piena legalità e di rispetto delle regole, perché non è stata, e non sarà, accompagnata da mutamenti non solo radicali, ma soprattutto frutto di un progetto politico-culturale meditato e perseguito con continuità negli anni a venire, progetto che, al momento, non esiste, almeno, non ci è dato di conoscerlo. Il primo decreto di commissariamento fu deliberato con DPCM del 4 luglio 2008. Fu nominato Commissario straordinario degli scavi pompeiani il fu Prefetto Profili, al quale in seguito successe Fiore. Intanto il commissariamento che doveva durare un anno il 24 luglio 2009 viene prorogato dal Presidente del Consiglio dei Ministri fino al 30 giugno 2010. Nell’ordinanza n. 3795 si conferma la situazione “di grave pericolo per Pompei e le aree ricadenti nel territorio di competenza della Soprintendenza archeologica di Napoli – Pompei”. Spesso dietro a tanto amore per i beni storici, si nasconde solo un feeling innato con il business. Da quando, con la legge 352 dell’8/10/1997, la Soprintendenza archeologica di Pompei è diventata autonoma, le sue disponibilità finanziarie sono passate dai 4-5 miliardi di lire assegnati annualmente dallo Stato agli oltre 33 milioni di euro delle ultime due gestioni, derivanti per l’82,3% dalla vendita dei biglietti di ingresso e dai servizi aggiuntivi. Una torta che fa gola a molti. Compreso il Comune, che ne vorrebbe una parte. Ma ecco arrivare l’ordinanza 3692 che in un colpo solo si porta via quasi tutta la torta, disponendo il trasferimento di 40 milioni di euro dalla contabilità della Soprintendenza a quella commissariale. La prima conseguenza è che tutti o quasi i progetti relativi alla conservazione furono bloccati. Nel dossier affermavo:

“A circa un anno e mezzo di gestione commissariale la situazione ad oggi negli scavi è questa:

1) manca ancora un’adeguata manutenzione ordinaria e straordinaria;

2) molti manufatti stanno crollando e diverse “insulae” rimangono chiuse al pubblico o sono solo in minima parte usufruibili dai visitatori (tra i quali le Case di Cecilio Giocondo, dei Quattro Stili, di Efobo, quella degli Epigrammi greci, quella delle Nozze d’Argento e perfino una casa visitabile come quella dei Vettii) versano in condizioni di degrado assoluto;

3) diversi mosaici stanno crollando poiché non si effettuano i restauri indispensabili da molti anni; molti affreschi di grande pregio presentano vistose macchie di muffa già presente da anni, erbacce sono presenti ovunque e tranne nelle strade principali, i segni dell’incuria sono evidenti; mancano ovunque percorsi per favorire ai disabili la fruizione degli Scavi, sia a Pompei, quanto ad Ercolano; sono carenti le condizioni igienico sanitario.

4) si continuano ad indire gare, ad ordinare progetti e appalti, utilizzando Società e Ditte esterne, quasi tutte del Nord, mortificando le professionalità esistenti tra gli impiegati degli Scavi archeologici;

5) il sistema di controllo degli accessi per i visitatori, con conta persone e relativi orologi, costato circa 1, 5 milioni di euro per i quali si spesero oltre tre miliardi delle vecchie lire, non è mai andato completamento in funzione. Si fa un gran parlare, non a torto, della necessità di ripensare il sistema di valorizzazione del patrimonio culturale, per migliorarne la pubblica fruizione, fine ultimo di tutto la faccenda. La Costituzione affida in via esclusiva allo Stato la tutela dei beni culturali, ma dalla parte delle istituzioni, deve esserci la volontà di definire insieme le regole. Ecco perché la Regione Campania deve rendersi protagonista di un progetto di sviluppo socio economico dei beni culturali, che possa far sì che essi siano volano di sviluppo. E’ necessario una pianificazione seria e mirata da parte della Regione per la salvaguardia e il recupero del patrimonio archeologico, per l’organizzazione e la valorizzazione del patrimonio storico. Una pianificazione che veda lavorare insieme, d’intesa con il Ministero dei Beni Culturali e ambientali, le province, i comuni, la Soprintendenza archeologica campana, le Università. Un lavoro sinergico che progetti soluzioni a medio e lungo termine allo scopo di mettere ordine nel settore e garantire una corretta programmazione per lo sviluppo e la valorizzazione dei beni culturali in Campania attraverso un intervento efficace a medio e lungo termine. Ma per fare ciò bisogna dire basta ai commissariamenti. Quella del commissariamento dell’area archeologica di Pompei, come le altre vicende che accompagnano da sempre questa pratica, è una vicenda poco trasparente, poco proficua, che ha consentito l’uso di fondi pubblici senza gare d’appalto. Uno strumento che aggira tutte le procedure di controllo. E’ ora di chiudere questa triste pagina della Campania che non ha portato in nessun caso a spinte migliorative, e ritornare alla politica, alla pianificazione e al rispetto delle regole, questa è l’unica ricetta per salvare e tutelare davvero, soprattutto in una Regione come la nostra, territorio, patrimonio culturale, artistico e archeologico che sono alla base del suo tessuto economico”. Cosa è cambiato? Niente o quasi. Ci sono stati solo un bel po’ di crolli. Era un disastro annunciato

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