di Tonino Scala
Sono le cinque. Un rumore assordante mi strappa dal sonno. Per fortuna devo alzarmi presto. Il frastuono si fa insistente, come un turbinio di ali in volo. Sono molti. Il rumore poco alla volta si trasforma in un lamento. Sono gabbiani, che si azzuffano per un tozzo di pane. Sono vicino al cassonetto dell’umido.
La luce dell’alba si insinua timidamente attraverso le persiane, colorando la stanza di un tenue chiarore dorato. Scosto il lenzuolo con riluttanza, sentendo il fresco della mattina che mi avvolge. Il mondo fuori sembra già in piena attività, con quei gabbiani che gridano la loro fame e il loro disappunto, simbolo di una lotta per la sopravvivenza che non conosce tregua.
Mi avvicino alla finestra, spostando appena la tenda per osservare la scena. I gabbiani volteggiano sopra il cassonetto come spettri in una danza frenetica, le loro piume bianche risplendono contro il cielo ancora pallido. Ogni movimento è un balletto caotico, ogni grido un verso disperato. Sono creature del mare, eppure trovano la loro battaglia quotidiana tra i rifiuti della città.
Rimango per un attimo a contemplare questo spettacolo, la cruda bellezza della natura che si scontra con il degrado urbano. Poi, con un sospiro, mi allontano dalla finestra. È tempo di iniziare la mia giornata, di affrontare le mie piccole battaglie, forse meno rumorose, ma altrettanto pressanti.
Il caffè gorgoglia nella moka, riempiendo la cucina del suo aroma confortante. La casa, pian piano, si risveglia con me. Fuori, i gabbiani continuano la loro disputa, ma il loro lamento ora mi appare come un lontano eco, parte del coro mattutino che accompagna ogni mio risveglio.
Buongiorno
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