Spinto dalla curiosità e dal fascino che la figura di Berlinguer esercita su di me, ieri sera sono andato a vedere il film di Walter Veltroni “Quando c’era Berlinguer”, in sala da qualche giorno.
Una prima sorpresa è venuta dal vedere l’età media degli spettatori, giovani come me, mentre le persone che hanno vissuto l’età di Berlinguer erano in netta minoranza. Questo dato anagrafico era in netto contrasto con l’idea che emergeva all’inizio del film, in cui si intervistavano ragazzi che non conoscevano la figura dello storico segretario comunista.
Il film è ben fatto, e ci consegna un ritratto genuino del leader di Botteghe Oscure degli anni’70-’80, celebrativo, ma non agiografico. A questo proposito si potrebbe fare una piccola critica sul nome:”Quando c’era Berlinguer” potrebbe far pensare più ad un documentario sull’epoca che sulla persona, ed invece il periodo storico è visibile solo filtrato dalla figura di Enrico e dal ricordo affettuoso di amici, e della figlia Bianca.
Ne esce la figura di un uomo esile, ma gigante nella morale, coraggioso, titanico nello sfidare i dogmi sovietici, che aveva capito con diversi anni di anticipo molti temi che sarebbero emersi con prepotenza sul quadro politico italiano ed internazionale.
Eh, sì. Alla fine del film quello che più mi ha fatto riflettere è la domanda che Veltroni rivolge agli intervistati, tra cui Scalfari, Napolitano, la figlia , Jovanotti :”Il PCI è morto con Berlinguer?”.
Ho sentito molte volte prima di ieri rispondere affermativamente a questo quesito, ed anche gli intervistati sono concordi.
Berlinguer e la maggioranza della segreteria del PCI aveva capito che il sistema degli stati a socialismo reale era sul punto di crollare, che la “spinta propulsiva dell’URSS” si era esaurita. Da qui la sua volontà di prepararsi al governo del paese, di rendere possibile anche in Italia l’alternanza, dopo un periodo di compromesso storico, progetto distrutto però dell’omicidio di Moro.
Come sarebbe stato vissuto il biennio 1989-1991 con il segretario sardo alla guida del più grande partito comunista dell’Occidente? La storia non va fatta per ipotesi, mancando la prova controfattuale, resta però l’impressione che alla decomposizione sovietica anche la forza di Berlinguer si sarebbe potuta opporre poco. La svolta era necessaria, quello che è mancato ai leader del PCI in quegli anni di difficile lettura è stata la capacità di costruire un progetto che avesse la pretesa di cambiare le cose, anche senza una falce e martello sulla propria bandiera, è mancato lo spirito unitario, quel PCI, tenuto insieme, oltre che dal Muro, fisico o ideologico, dalla propria capacità di essere rappresentativo di diverse istanze e di un pezzo di società, laddove nel post-’91 ognuno ha ritenuto il proprio pensiero più degno di rappresentanza e di rispetto, portando all’atomizzazione della sinistra, mentre la parte più governativa si snaturava completamente, alla ricerca della vittoria elettorale a tutti i costi, anche sacrificando la propria identità, come avvenuto quando per vincere si è scelto di abbandonare molti temi alla caccia di elettori moderati anch’essi smarriti dalla fine dell’altro gigante del panorama italiano del’900, la Democrazia Cristiana.
La svolta è fallita, quindi in gran parte, ed ora ne stiamo pagando amaramente le conseguenze, con la sinistra, che avendo smesso da tempo di proporre un’alternativa ha finito per essere percepita come sostenitrice di battaglie di retroguardia, aprendo la strada a persone come l’attuale leader del PD, che puntando sull’innovazione a tutti i costi, con spot e proposte discutibili, riescono a fare consensi, anche tra persone autenticamente di sinistra, che proposte simili le hanno avversate quando avanzate da esponenti dello schieramento avversario.
La sinistra, dopo la fine del PCI, ha inseguito più la forma, che la sostanza, essendo più disponibile a concessioni sui temi politici che su quelli organizzativi, inseguendo più la forma-partito, che la sostanza-cambiamento. Occorre invece ripensare la casa della sinistra, essendo sempre pronti al dialogo, quello che Enrico Berlinguer fece anche con la Democrazia Cristiana e tentò di fare col PSI, rimanendo fedeli però agli “ideali di gioventù”(questa sua frase manca nel film) avendo il coraggio di andare fino alla fine nel proprio compito, come in quel comizio a Padova (struggente il primo piano sul grande schermo).
Veltroni, con “Quando c’era Berlinguer” ci dà una godibile lettura dell’epopea berlingueriana. Ognuno vedendolo può usarlo come punto di partenza per una riflessione più ampia, anche magari aggiungendo significati personali , perché con Berlinguer , come dice la Ginzburg nella frase messa a chiusa del film, abbiamo tutti un rapporto personale, anche magari avendolo sentito in una piazza, o attraverso uno schermo. Ed è questa la cifra della sua grandezza.
Di Sabato Danzilli
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