Tre ragazzi uccisi dal fanatismo islamico. Un ragazzo ucciso da quello ebraico. Quattro vite spezzate dall’odio, dall’estremismo, dalla cultura della morte.
Ragazzi contro. Lanci di razzi, lanci di pietre. Vite divise da un muro costruito dai grandi della terra. Vite seminate da rancore, abusate, bombardate. Kamikaze senza gloria: amen. Crescono con l’odio, muoiono nell’odio. Condannati ad una pena capitale. Per cosa. Per chi. Per lo stesso Dio. Per la stessa terra.
Non so cosa ci sia dopo la morte. Mi son sempre posto questa domanda, non ho mai saputo dare una risposta. Non so dove si trovino ora quelle quattro anime innocenti. Li voglio immaginare in un campo a tirar calci ad un pallone, insieme.
A ridere delle nostre debolezze, del nostro mondo diviso in blocchi, della nostra guerra senza senso, del nostro non amare la vita. Li voglio immaginare con lo stesso Dio che fa da arbitro nella loro partita, in un campo fatto di terra.
La loro terra. Promessa? No, l’unica promessa è potersi incontrare il giorno dopo per continuare a giocare.
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