Era il 1991 anno del signore. Avevo diciassette anni. La mia testa era altrove. Non lontano a dire il vero, a poche fermate di Circumvesuviana, a Ercolano, ma questa è altra storia. 1991, anno della guerra del golfo, del movimento pacifista che mi cambiò l’esistenza, l’anno della mia guerra di Pero, l’anno di un disco che accompagnò i miei giorni. Uscì a gennaio, lo ricordo ancora, è stato il mio primo 33 giri di Pino Daniele, acquistato con i miei risparmi. Sto parlando di “Un uomo in blues” che comprai da Raffone al Corso. Danilo Rea alle tastiere, Harvie Swartz al basso, Gary Chaffe e alla batteria e alle percussioni Rosario Jermano, ma non è di questo che vi voglio parlare. Un uomo in blues, Gente distratta, Che soddisfazione con la mia Castellammare il suo traffico nelle parole, Invece no, Leave a message, For your love, Solo, Domani e Femmena. Ascoltando quella musica e quelle parole vedevo i muri scrostati delle mie città e del mio animo che si stava formando. Quel disco mi fece entrare nel cuore Pinotto e… ma vorrei parlarvi dell’unica canzone che non ho citato, volutamente. Era diventato un tormentone e sembrava la canzone meno seria alle orecchie di un adolescente distratto. Poi per fortuna nei dischi ci sono le parole e… Ho scoperto che Pasquale, forse è nato a Cefalù, si è sposato a Novedrate, è un bravo elettricista, fuma poco e ascolta i Pooh. Letta così può sembrare una frase come tante e invece no, Pino in questa canzone, in modo scanzonato, affronta un tema che a distanza di quasi trent’anni continua a essere di grande attualità: l’emigrazione forzata. Sì, forzata, perché si è costretti ad andare via, non per scelta, ma per necessità. Con “‘O scarrafone” il cantautore mette in scena la condizione degli emigranti che dal profondo sud emigrano verso quel nord che male li accetta. Ricordate i cartelli non si affitta a napoletani? Mette in luce la loro condizione, quella di gente semplice che crede ancora alla cicogna e che corre da mammà. Lavori faticosi, lavori manuali, lavori lontani, lavori necessari, lavori avvolti nella nebbia Padana che offusca gli occhi e la mente per chi ha la testa e il cuore nella propria terra natia. Oggi è sabato e domani non si va a scuola, oggi è sabato se non chiami ho un nodo in gola, oggi è sabato e forse è un giorno speciale, oggi è sabato meno male. Sabato, il tanto agognato sabato, il sabato lontano dalla scuola e dal lavoro. Per fortuna arriva il sabato del villaggio preludio di un giorno di riposo che sarà la domenica. Il sacrosanto tempo libero che è vita. Pinotto, il mio Pinotto in questa canzone affronta anche un altro tema, quello di un partito razzista che stava prendendo piede nel nord del Paese: la Lega. Un partito che, oggi come allora, fomenta l’odio nei confronti dello straniero, che trent’anni fa era il meridionale. Ricordate i nostri conterranei che tornavano per le vacanze dopo pochi mesi di lavoro con l’accento nordico? Era un modo per farsi accettare. La Lega, un partito che ancora oggi è una vergogna come cantava Pino, ha trasformato, oggi, l’odio per i meridionali in quello per i migranti. Ma Pino aveva visto lontano, leggete questa strofa: E se hai la pelle nera, amico guardati la schiena, io son stato marocchino, me l’han detto da bambino, viva viva ‘o Senegal. Pino dice al fratello migrante di guardarsi la schiena, che lui da bambino c’è già passato e chiude con Viva Viva ‘o Senegal che diventa la capitale di un mondo rovesciando il messaggio razzista dei leghisti. Perché ne parlo oggi? Perché con l’elezione di Umberto Bossi a presidente a vita della Lega e con la sua frase applaudita a scena aperta – Mi sembra giusto aiutare il Sud altrimenti straripano come l’Africa – riesce fuori con forza la vera anima e la mission di un partito che sta provando a colonizzare anche il sud. Uomini e donne del sud che state aderendo alla Lega, riflettete. Riflettete bene.
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