“Questi Fantasmi” di Gassmann – Una rilettura rispettosa che emoziona senza tradire Eduardo

 

di Tonino Scala

L’ho visto ieri sera, tre giorni dopo la prima su Rai 1. Ho evitato di leggere commenti, volevo guardarlo senza filtri, senza farmi influenzare. Eduardo è un pezzo di me, parte della mia storia. Da ragazzo leggevo i suoi testi che Salvatore, il parroco della mia parrocchia, custodiva come reliquie. Li divoravo, li rileggevo e poi, con qualche amico, provavamo a metterli in scena nel teatrino della chiesa. Ovviamente a modo nostro. Era un rito, qualcosa che mi è rimasto dentro.
Poi ci sono stati gli adattamenti televisivi, quelli con Eduardo stesso. Quando passavano su Canale 21, non c’era verso di cambiare canale. Ancora oggi è così. Eppure, non sono uno di quelli che si straccia le vesti se qualcuno reinterpreta le sue opere. Non faccio paragoni. Come puoi confrontare la cucina di tua madre o di tua nonna con quella di chiunque altro? Sarebbe ingiusto.

Veniamo a Gassmann.

Rileggere Eduardo non è cosa semplice. Il rischio di sbilanciarsi troppo verso la commedia o, al contrario, di appesantire il dramma è sempre dietro l’angolo. Alessandro Gassmann ha affrontato la sfida con grande equilibrio, consapevole di muoversi su un terreno delicato. La sua regia riesce a essere rispettosa della scrittura originale, senza limitarsi a una riproposizione filologica. Ha osato, ma con giudizio, aggiungendo un’ambientazione che richiama un’atmosfera quasi “ghost”, fatta di luci soffuse, ombre che si allungano e silenzi che parlano quanto i dialoghi.
Non è una forzatura, ma un’intuizione che funziona: Eduardo ha sempre avuto a che fare con i fantasmi, non quelli che spaventano, ma quelli della coscienza, delle occasioni perdute, delle illusioni che si sgretolano piano piano. Gassmann ha colto questo aspetto e lo ha reso esplicito, visibile, senza mai cadere nell’eccesso. Il risultato è un’opera che rispetta il cuore pulsante del testo originale, ma riesce a dialogare con il presente.
E gli attori?
Massimiliano Gallo è stato una certezza. Ogni volta che lo vedo in scena o sullo schermo mi sorprende per la naturalezza con cui si muove nei personaggi. Qui, in particolare, ha saputo dosare la leggerezza e la disperazione che convivono in Pasquale Lojacono. C’è una dolcezza nel suo sguardo, un’ironia che non copre mai il dolore, ma lo accompagna, lo fa emergere nei momenti giusti. È credibile, autentico, mai sopra le righe.
Anna Foglietta, nel ruolo di Maria, è stata un’ottima spalla. Essenziale, diretta, con una recitazione sobria e asciutta che ha dato profondità al personaggio senza strafare. C’era una tensione costante nei suoi silenzi, nelle pause, nei gesti misurati. Non ha avuto bisogno di grandi parole per far emergere il tormento interiore della moglie di Pasquale.
Alessio Lapice è stato una rivelazione. La sua presenza scenica ha portato un’energia nuova, intensa, che ha arricchito l’equilibrio dell’intera rappresentazione. Gea Martire, nel ruolo della vicina di casa, ha dato spessore a una figura secondaria che, però, rimane impressa. Ha saputo costruire un personaggio solido, realistico, perfettamente inserito nell’atmosfera generale.
E poi c’è Maurizio Casagrande. Il suo portiere è stato un piccolo capolavoro di ironia e misura. È riuscito a dare a questo personaggio quel tocco di leggerezza che fa sorridere, ma che non scivola mai nel macchiettismo. La sua presenza è stata un contrappunto fondamentale, uno di quei ruoli che sembrano minori, ma che in realtà reggono l’impalcatura dell’intera opera.
L’atmosfera generale
Gassmann ha lavorato molto sulle atmosfere, e si vede. C’è una Napoli che emerge non tanto nei panorami, quanto nei dettagli: i rumori di fondo, i corridoi che sembrano non finire mai, le stanze che respirano da sole. La casa in cui si svolge la vicenda è quasi un personaggio a sé, con i suoi scricchiolii, le ombre che si muovono appena, le luci che si affievoliscono nei momenti più drammatici.
Tutto concorre a creare un senso di sospensione, un equilibrio precario tra reale e irreale. Gassmann non cerca il colpo di scena, ma lascia che l’atmosfera faccia il lavoro sporco, insinuandosi piano piano. È un teatro che vive di sfumature, di dettagli sottili che, alla fine, lasciano il segno.
In sintesi?
Mi è piaciuto, davvero. Non è Eduardo, ma non ha mai preteso di esserlo. È una rilettura sincera, ben fatta, che riesce a parlare anche a chi non conosce a memoria i testi originali. E per me, questo è più che sufficiente.

 

 

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