17 DICEMBRE 1995 ORE 14:10
L’intercity era quasi in orario. Il viaggio non era durato molto e la prenotazione gli aveva consentito di avere, senza difficoltà, un comodo posto a sedere.
Il golfo di Ulisse era spettacolare anche in dicembre.
Il freddo aveva reso il cielo di un azzurro intenso e l’aria cristallina permetteva una visione nitida dell’altra sponda: Cala Luna. Era un piacere per gli occhi ammirare la natura che gli rinfrancava lo spirito. Il mare che si insinuava nella terra formando anse e davanti a lui si intravvedeva una trama di luoghi, di possibili approdi, di passeggiate, di nuovi percorsi per ragionare con il proprio io fuggitivo.
Lo avevano spedito al Nord.
Prima di partire era riuscito a parlare con Fabio, a raccoglie-re delle informazioni e a tessere una rete di contatti, non era molto: una buona traccia fatta di indirizzi utili e un appunta-mento alla stazione Centrale.
L’amico era stato solerte e puntuale come al solito, un giro di telefonate e un contatto subito, appena sceso dal treno, al bar della stazione.
Contessa, il libro di Giancarlo De Cataldo gli aveva tenuto compagnia, lo aveva talmente chiamato dentro che non si era accorto del tempo che passava. Un caffé nel vagone ristorante ed una lettura accanita, pressante, quasi ansiosa della storia: l’uccisione della nobildonna alle porte di Roma e l’affresco di un intrigo.
Il protagonista, l’avvocato Valentino Brucio, che si muove in un mondo oscuro con una forza ed un entusiasmo inaudito, rappresentava l’altro lato della sinistra sconfitta, il persistere romantico delle illusioni, il non volersi arrendere di fronte all’evidenza di un fallimento.
San Lorenzo e sull’altro versante Porto Cerere gli scacciarono la nostalgia: lui non era così, era ormai lontano da quell’epoca, da quel modo di intendere la vita.
La confusione lo infastidiva eppure il protagonista del libro gli era simpatico: un antieroe, incapace di adeguarsi, di correre dietro agli affari, alla ricchezza e felice di essere squattrinato e libero, come se le due cose camminassero insieme.
La diga nel golfo e poi la città.
Non conosceva la città, non sapeva cosa lo aspettasse in compenso non avrebbe avuto difficoltà a muoversi, conside-rato le dimensioni del luogo.
Troppo simile al delitto dell’Olgiata e lo scrittore lo aveva pubblicato prima delle conclusioni giudiziarie come se l’autore le conoscesse in anticipo. Un bel romanzo nero come in Italia non ne erano stati scritti e pubblicati da tempo.
Pensò a sé stesso, non cercava la verità, non inseguiva i cat-tivi, era solo un cronista. Avrebbe scritto e come, senza tralasciare niente, con minuziosità raccontando fatti corredati da testimonianze e da documenti.
Lui non voleva vincere nessuna guerra, non era un devoto della causa ambientalista e questa non era la sua Crociata.
Nella serata aveva fissato già un incontro all’autorità por-tuale, doveva comunque iniziare ad esplorare il terreno. Era sua intenzione mettere insieme una serie di interviste, un racconto tramite la voce dei protagonisti: gli uomini delle istitu-zioni, gli imprenditori, i lavoratori.
Qualcosa di grosso era in movimento.
Fabio gli aveva fissato un contatto con Legambiente: un nome, Chiara.
Immaginava di trovare una militante so tutto io ed adesso te lo racconto, pensava di incontrare una giovane donna in cerca di sé stessa, senza neanche saperlo.
Tutte eguali queste donne di sinistra.
Badava troppo all’intimo, impiegava tanto tempo a chiedersi i perché, forse anche lui stava cercando un perché come se la sua attività fosse quella di perdersi dietro a tante domande.
No, non trovava risposta! Non ne sentiva nemmeno il bisogno e non ne avvertiva la mancanza. Scese dal treno e si avviò verso l’uscita.
Il bar, si guardò intorno, seduta ad un tavolo una giovane donna con Il Manifesto aperto, continuò a cercare. All’interno
del locale c’erano altre donne, ma nessuna così dichiaratamente in mostra, come su un dépliant pubblicitario, mancavano solo le inserzioni luminose, ma il messaggio era chiaro: sono io quella che ti aspetta.
Si avvicinò al tavolo salutando «Salvatore Zafarone, il giornalista, forse aspetti me? Sono l’amico di Fabio, il romano. Se non mi sono sbagliato dovresti essere tu il mio contatto.» e sorridendo porse la mano.
«Chiara Tonelli, lieta di conoscerti». Si alzò per stringergli la mano. A prima vista, dopo una veloce panoramica, gli sembrò una bella donna e osservando i suoi passi percepì che era ancorata al terreno, il suo.
Si era sbagliato la donna sicuramente non cercava niente: sapeva già o almeno così dava ad intendere.
«Spero che il viaggio non ti abbia stancato, ti accompagno in albergo e poi al ristorante. Mentre pranziamo possiamo inquadrare il problema e fare il punto su come possiamo aiu-tarti, Fabio mi ha detto che sei interessato ai rifiuti».
Abbandonarono la stazione attraversando piazzale Meda-glie d’Oro.
«Avrai prenotato. Voi giornalisti siete organizzati, non lasciate nulla al caso. Mi hanno detto che sei una persona im-portante, avranno fatto tutto da Roma». La donna sorrise in maniera disarmante mettendo in mostra una sana disponibi-lità alla vita. Sembrava volesse dire: “Io ci sono, sono quella che vedi ed non avrai sorprese da me”.
I suoi occhi guizzavano accompagnando i suoi sguardi, poteva avere 30-32 anni.
«Mi hanno prenotato una stanza al Ca’ Dorato, non ricordo nemmeno dove si trovi.
«Quello di Via Piave! Vuoi che ti accompagni là? Potrai la-sciare il bagaglio e fare una doccia, ti aspetto».
«No, andiamo al ristorante. La sacca la lascio nella tua machina, spero tu ne abbia una. Ho voglia di vedere, di parlare ed ho anche fame».
«Capisco, vuoi respirare l’aria della città, ma questo luogo non è semplice come appare, avrai bisogno di percorrere molte strade per percepirne l’anima». La donna intuiva i suoi sentimenti.
La guardò camminare: poggiava i piedi con andatura fluida, senza affondare sulla strada; forse anche lei era fluida come il suo passo.
La macchina era parcheggiata in Via Fiume. La raggiunsero rapidamente.
Arrivarono alla locanda Porto di Mare su viale Italia, ad aspettarli trovarono Pietro Accetto, presidente di Legambiente, e Sara Lucchini della Camera del Lavoro; strana coppia: la tutela dell’ambiente con a fianco la difesa dei posti di lavoro.
In altri luoghi erano su fronti diversi, in tante battaglie le or-ganizzazioni dei lavoratori avevano difeso le fabbriche, giustificato le imprese inquinanti. Il progresso aveva i suoi costi, un po’ di sporco era il prezzo che si doveva pagare al benessere.
Il pranzo fu ottimo ed il piatto centrale anciùe àa spezzina, composto da uno strato di patate tagliate sottili, un altro di acciughe senza testa e spinate, il tutto condito con una salsina di origano, aglio e prezzemolo ben tritato, olio e pomodori freschi a pezzettini, era un premio al palato e la giusta sinfo-nia di sapori.
La semplicità delle pietanze accompagnò la discussione. Parlarono della discarica di San Bruno, della presenza di amianto e di bidoni di diossina proveniente da Seveso, dello stato di degrado del territorio e dell’incontrollabilità della ge-stione dei rifiuti.
Il problema era stato sollevato più volte e la pericolosità dell’impianto oggetto di varie indagini giudiziarie.
La documentazione amministrativa era risultata sempre in regola, ma i dubbi permanevano.
Anche la gestione delle navi dei veleni fu oggetto di discus-sione.
«Sai benissimo che i fusti caricati sulla Zanoobia contenevano sostanze prodotte dai noi italiani e che la Francia ha smaltito i suoi rifiuti nucleari nel Benin, mentre la Karen B ha riportato indietro il suo carico di veleni. E cosa dire del console nor-vegese arrestato in Nigeria per il sostegno organizzativo allo smaltimento illecito proveniente dalla civile Europa?». Chiara parlava con ardore. «Abbiamo fatto dell’Africa la pattumiera dell’occidente. Un po’ di soldi e il gioco è fatto».
«La città – chiese il giornalista – che ruolo ha in questi traffici?».
«Le informazioni che abbiamo puntano sul molo b».
«Sei sicura Sara?». L’incredulità si dipinse sul volto del gior-nalista.
«Sì, diversi compagni parlano di strani movimenti, di carichi notturni, container che arrivano già pieni con granulato di marmo e lastre di cemento. Operazioni sospette; navi in regola, coi documenti a posto».
«Spero che scriverai qualcosa che possa essere utile alla cit-tà e che la liberi da questa macchia». Era ancora lei, Chiara, e guardandolo negli occhi: «Vogliamo fidarci di te. Hai già scritto in maniera obiettiva ed onesta in passato. Qui, noi sia-mo una minoranza ed abbiamo necessità che l‘opinione pub-blica sappia. Il problema principale è l’informazione, fornire notizie, dire della pericolosità delle sostanze che vengono trasportate e smaltite illegalmente. Dobbiamo far sapere, rag-giungere le case della gente e creare attenzione».
Era interessante il suo modo di parlare, la gestualità: un mondo in movimento.
Le chiese con lo sguardo: “Tu sei una missionaria? Devi sapere che io sono un ateo”.
La sua muta riposta fu: “Ti sbagli io sono un essere vivente, una persona, una donna, una cittadina”.
Totò abbassò gli occhi.
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