Totò Riina é morto, eppure sembrava immortale.
Quest’uomo ha incarnato per me e per tanti della mia generazione il male.
Il male fatto persona. Il male per il potere. Il male fine a se stesso. Il male che coincide con la mafia, con il crimine, con le camorre.
La sorella morte non fa sconti, arriva puntuale per tutti e livella.
Si sarà pentito nelle ultime ore di vita? Questo non lo sapremo mai.
É in questi momenti che il mio piccolo cervello inizia a dare i numeri. È in queste circostanze che gli interrogativi sovrastano il mio io. Perché? Perché la morte è il più grande degli interrogativi!
Ma esiste un’altra vita dopo la morte? Esiste un regno più giusto? Non lo so, a volte penso di no, tante volte spero, mi auguro di si. Possibile che finisca tutto? Un giorno ve lo dirò, spero non subito.
Mettiamo che questo mondo esista, come avrà accolto il Capo dei capi? Con i forconi? Con fiamme e fuoco? Non ho idea, ma da quando ho appreso la notizia, la mia capa ha iniziato a sbariare:
È buio Totò ‘o curto é solo in mezzo alle tenebre. In lontananza una luce, s’intravede una porta e un percorso tortuoso. É l’unica strada possibile. Totò la percorre. Dopo due ore di cammino il Capo dei capi tutto sudato giunge a destinazione. È da solo davanti ad una porta enorme. Totò non è mai stato un gigante, ma innanzi alla grandezza di quest’ingresso sembra proprio un topolino. Bussa. Bussa una, due, tre, quattro, cinque volte. Nessuno risponde. Bussa di nuovo, questa volta si accompagna con i piedi. Nessuno risponde, nessuno apre. Totò è scocciato inizia a sbraitare, poi utilizza i metodi che ha sempre utilizzato.
– Ma allora non avete capito niente? Non sapete chi sono io? Sono Totò Riina, il capo dei capi.
Nemmeno il tempo di finire la frase che una grande pernacchia a più voci si alza nel cielo di quel mondo. Una pernacchia lunga, piena, eterna oserei dire.
Poi tutto d’un tratto la porta si apre. Dall’interno non si vede nessuna luce. Totò è infastidito, ma non lo dà a vedere. Con l’arroganza di sempre entra.
È buio, buio pesto. Fa un passo, poi due, poi tre.
Si sente un bambino sghignazzare. È Giuseppe di Matteo. Chi è vi starete chiedendo? Il bambino sciolto nell’acido su commissione. Indovinato chi è il committente?
Riina vorrebbe fare la voce grossa, ma…
Riceve uno scoppolone, poi due, poi tre.
È al buio, quei piccoli colpetti alla nuca innocenti, lo riportano al suo passato, Totò sorride, tanto è buio nessuno lo può vedere.
Poi tutto d’un tratto la luce. Alle sue spalle tante parsone, un esercito.
Tra questi riconosce Giovanni Falcone che a cavalcioni sulle sue spalle larghe ha Giuseppe di Matteo che ride per la marachella fatta, vicino a lui Paolo Borsellino che sorride.
– Mo’ l’hai finita di fare il cretino e jamme ja – dice Falcone.
Riina è sbandato, non crede ai suoi occhi, si aspettava altra accoglienza e invece…
In un angolo, solo soletto, s’intravede un piccolo uomo ingobbito. Sì, avete capito bene, è lui, il divo Giulio.
Totò lo vede, fa finta di non conoscerlo.
Tutti lo guardano, tutti li guardano. Poi parte un grande coro. È quel burlone di Paolo che dà il via alle danze.
– Bacio, bacio, bacio.
Il coro si fa sempre più forte, più insistente, ma è un gioco, il gioco della morte: e così sia! #totòriina
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