di Tonino Scala
Sono a casa, fa caldo. Le pale di un ventilatore muovono l’aria surriscaldata dal tempo, da Caronte e da un mondo che, come sempre, va per i fatti suoi. Tuttavia, queste pale color azzurro cielo offrono quel leggero refrigerio che serve.
Aspetto. Solo questo posso fare.
In questi giorni, però, ho fatto tante altre cose. Ho letto, studiato, corretto (si fa per dire) un libro, rivisto una sceneggiatura, cucinato, mangiato, riposato molto, visto film e ascoltato musica.
Fa caldo, ma questo lo abbiamo già detto. Guardo il soffitto, bianco come ogni santo giorno. Il mio sguardo, stanco dal non fare nulla, si sofferma su un oggetto tondeggiante e grigio, un grigio che va sul nero. Non è solo un pezzo di arredamento, è anche utile.
Ci parlo. No, non sono matto. Un po’ sì, ma sarebbe una storia troppo lunga, soprattutto con questo caldo…
“Alexa, metti una canzone.”
“Che genere vuoi ascoltare?”
“Musica anni ottanta!”
Le note di un pianoforte, quasi metallico, invadono la mia stanza, poi una voce:
“Everybody needs a little time away, I’ve heard her say, from each other, even lovers need a holiday far away from each other, hold me now, it’s hard for me to say I’m sorry, I just want you to stay…”
Non ricordo il nome del cantante, ma in mente ho solo i suoi capelli biondi. Il nome del gruppo sì: i Chicago. Un flashback lungo quarant’anni o forse più, mi riporta a quella canzone che ascoltavo alla radio. Un testo che si confondeva con le canzoni vomitate dai balconi della periferia del mio quartiere, il mio mondo. Una canzone che si mescolava a “Pronto Maria”, “Celebrità” e “Un’Estate al mare”, con l’inconsapevolezza di Carmelo Zappulla, il ragazzo con i capelli ricci neri venuto dalla Giudecca siracusana, Nino D’Angelo con il suo caschetto biondo che faceva sognare le ragazzine dei quartieri e Giuni Russo che non voleva cantare la sua/nostra estate al mare: era troppo popolare! Per fortuna, Battiato le fece cambiare idea.
“…Couldn’t stand to be kept away, just for a day, from your body, wouldn’t want to be swept away, far away from the one that I love…”
“Hard to Say I’m Sorry”… non la sapevo nemmeno cantare, non conoscevo il senso delle parole, ma mi piaceva. Tanto. Insieme a Teresa De Sio e alla sua “Voglia ‘e turnà”, a Gianni Togni che mi faceva vivere con “Vivi”, a Sandro Giacobbe con “Sarà la nostalgia”, Gianni Morandi e la sua “Marinaio”, e “Illa” del grande Mario Castelnuovo, riempiva la mia estate.
Un’estate fatta di sogni mondiali con una Spagna lontana che sembrava vicina. Un’estate trascorsa su un balcone a guardare i ragazzi più grandi passare in vespa. Un’estate fatta di idrolitina. La bottiglia la sbattevo io, però. Un’estate di Lemonissimo, Magic Cola, Arcobaleno da leccare e Piedone, Zaccaria, Camillino da mangiare, Steccaliquirizia antisegnano del Liuk da mangiare e leccare sognando l’Eldorado. Un’estate in cui, se avevi una Graziella, avevi tutto. Un’estate di Puffi, Candy Candy, “Il mio amico Arnold”, “I Jefferson” e “Wonder Woman”. Un’estate fatta di spighe bollite e di cazzimpocchi gelati al gusto di amarena. Un’estate fatta di tiri ad un pallone e sudate. Un’estate al suono di un fischietto che nel pomeriggio caldo, mentre i serpenti ballavano, ti annunciava l’arrivo di un signore che chiamavamo ‘o gelatiello e che, per cento lire, ti donava un refrigerio al gusto di limone. Un’estate pensando a Sbirulino, che mai e poi mai avresti immaginato fosse una donna. Un’estate fatta di polli allo spiedo mangiati con le mani. Un’estate di discorsi ascoltati al bar, che era la sezione del PCI: “Non so se sta facendo bene Berlinguer, ma di lui mi fido”. Un’estate di giri in bici alla ricerca di una fontanina pubblica per bere un sorso di acqua ghiacciata. Un’estate di angurie gelate che non entravano nel frigo e attendevano la lama di un coltello in una bagnarola ricca d’acqua e pezzi di ghiaccio. Un’estate di “stasera papà ci porta a mangiare il gelato”. Lo prenderò fragola, limone e panna. La cioccolata sul gelato non mi è mai piaciuta. Un’estate di Topolino comprato in edicola e divorato in poche ore in attesa del prossimo numero che sarebbe uscito la settimana successiva. Un’estate di buste a sorpresa che contenevano le cose più impensate e che papà mi comprava perché costavano poco. Un’estate sognando la maglia rosa del Giro d’Italia, che fa tappa a Castellammare per poi andare a Diamante, e a vincere è pure Francesco Moser, il mio idolo. Un’estate aspettando “Rocky III”: “Papà, a settembre esce Rocky, lo andiamo a vedere?” Un’estate di cozze bollite con il limone e di percoche dentro un vinello gelato che colorava le serate. Un’estate di tricolori sui balconi. Un’estate in cui Paolo Rossi era un ragazzo come noi. Un’estate di vino che papà allungava con la Faito gassosa, la gassosa batteriologicamente pura perché fatta solo con acqua Faito. Un’estate di “si sta facendo grande il ragazzo”.
Un’estate… a volte basta una canzone. Una semplice canzone per far rivivere l’estate. “Hard to Say I’m Sorry”… difficile dire che mi dispiace… che il tempo sia passato. Il tempo passa, ma lascia segni e a volte basta una canzone. Una banale canzone per riaccendere il caldo di un tempo che non tornerà, ma che rivive grazie alle note e alla voce di un tipo con i capelli biondi che gorgheggiava parole di una lingua straniera, che non conoscevo e forse anche per questo mi faceva sognare.
Anche se oggi il significato delle parole lo conosco, continuo a sognare. Tanto, non solo non costa niente, ma aiuta pure a vivere.
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