di Tonino Scala
Non so ballare, non ci ho mai provato, mai ci proverò. Sono impacciato e non solo per la mia stesura, per la mia mole, ho, come dire, una sorta di impaccio interiore. Cionostante apprezzo molto chi balla, mi fermo a guardarli, per ore. Amo quelle persone che in meno di un metro quadrato trovano quella complicità che nemmeno nelle grandi storie d’amore è difficile trovare. Mi incanto a guardare quegli incastri, quei passi sinuosi che diventano poesia, che riempiono i miei occhi. Tra i tanti balli ho sempre apprezzato chi si dedica al liscio, perché oltre alla tecnica, alla passione c’è quell’allegria che già al solo sguardo riempie. Perché questa riflessione? Perché il covid si è portato via Raul Casadei, il re del liscio, a 83 anni. Raul, che ha fatto della musica un fatto sociale oserei dire politico. La musica, il liscio come evasione per dimenticare il sudore di una settimana di fatica. La musica per tutti che si contrapponeva alla musica per pochi, quella dei signori, quelli che potevano permettersi il night. Raul era e forse lo sarà per sempre la gioia del sabato sera, delle fredde sere d’inverno o delle fresche serate estive in riva al mare o in campagna. La Romagna è come New Orleans, diceva Raoul, “la nostra musica è il dixieland italiano, una cosa nazional-popolare”. E aveva ragione. Una musica, la sua, che parlava di cose vere, di amore, famiglia, vacanze, lavoro di spensieratezza, insomma di musica leggerissima, di cultura di vita con la colpa di essere bella, felice e facile, per tutti. “Cio’ burdel, stasira bsògna déj”. Questo diceva alla sua orchestra prima di ogni spettacolo, stasera diamoci dentro per questa gente che se lo merita! Mi auguro che nel paradiso di quelli che ci han fatto divertire sia stato accolto con una bella mazurka di periferia.
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