Vuole la condanna dell’Italia
19 settembre 2013 di Claudio Sardo
Editoriale de L’Unità
Il confronto tra il video della discesa in campo del ’94 e quello di ieri del rilancio postumo di Forza Italia è impietoso per Berlusconi. Non parlarne è persino un atto di cortesia. Ciò che invece non può essere taciuto – perché è inaccettabile e perché in gioco ci sono gli interessi del Paese, anzi dei cittadini più deboli di questo Paese – è lo scarto enorme, il disprezzo che separa la ribellione istituzionale di un leader definitivamente condannato, ormai interdetto dalle funzioni pubbliche, rispetto alle responsabilità nazionali che comunque comporta una leadership, benché decadente. Chiedeva agibilità politica, ora risponde con un «muoia Sansone con tutti i filistei». Si gloriava della fiducia generosamente concessa al governo Letta, ora passa alla politica del logoramento e del sabotaggio. Pretendeva clemenza, in virtù di una legittimazione popolare che non poteva non trovare proiezione nelle istituzioni, ora dichiara guerra a quelle stesse istituzioni, a cominciare dall’odiata magistratura.
Dal 2011, quando il suo governo è miseramente fallito spingendo l’Italia sull’orlo del baratro finanziario, ha rinunciato a ogni progetto per il Paese, e persino alla sua finzione propagandistica. Ha cercato solo il potere, solo una quota di potere condizionante. Adesso l’intera società – così provata da questa crisi, che da noi è più dura che altrove anche a causa dei governi Berlusconi – è scomparsa dal suo orizzonte. Il Cavaliere cerca in modo scomposto di resistere al principio di legalità, di contrapporre il consenso residuo allo Stato di diritto, di conservare la leadership mediatica a dispetto dell’interesse nazionale.
Non ci ha mai convinto l’idea che le larghe intese fossero per Berlusconi una necessità. Sono state per lui un posizionamento provvisorio, favorito dagli errori del Pd e dal cinismo di Grillo. E il video di ieri mostra chiaramente l’opzione elettorale di Berlusconi, fondata sul marketing di Forza Italia. Non è detto che riesca a far precipitare davvero la legislatura, interrompendo il faticoso cammino del governo Letta e ciò che stava cominciando a costruire in Europa. Ma certo, ieri, le prospettive dell’esecutivo sembravano di molto accorciate.
E non perché la giunta del Senato ha votato come non poteva non votare, dichiarando la decadenza del senatore Berlusconi in virtù di una condanna definitiva e di una buona legge (Severino) dello Stato. I mala tempora del governo sono invece iscritti in quel video, nei suoi inaccettabili insulti ai giudici, nell’invito a contestare le sentenze, e dunque il diritto, nel disimpegno, anzi nel disinteresse, verso le cose concrete che oggi preoccupano le famiglie, le imprese, i cittadini che vedono ridursi opportunità e diritti.
In chiave elettorale a Berlusconi interessa solo il no alle tasse. Ma è proprio il giorno in cui l’imbroglio del Pdl sul tema risulta spudorato. L’aumento dell’Iva sembra inevitabile (ma bisogna battarsi ancora perché non sia così) proprio a causa dell’assurdo diktat sull’Imu imposto dalla destra. Bastava far pagare un miliardo di Imu al 10% più ricco tra i proprietari di immobili per finanziare almeno il rinvio dell’Iva al 2014. Berlusconi però ha detto no, dice no, dirà no. Lo strappo dovrebbe essere compensato al più presto con altre misure redistributive, quantomeno con altri interventi che aiutino la domanda interna e il lavoro. Se ci fosse buon senso e buona fede, si potrebbero realizzare. Confindustria e sindacati hanno indicato insieme alcune priorità. Tuttavia il Pdl gioca contro. E non per una ragione ideologica, o per una dottrina economica che ha smarrito da tempo, ma per una ragione elettorale. Berlusconi ha ordinato di riprendere le sgualcite bandiere di Forza Italia e di azzoppare il governo.
Eppure l’aumento dell’Iva e l’istituzione dell’Imu sono le amare eredità dei governi Berlusconi. Quando la credibilità del suo esecutivo scese sotto lo zero, Berlusconi e Tremonti firmarono un patto leonino ai danni dell’Italia. Nessun Paese europeo – neppure quelli di fatto commissariati – ha accettato un piano di rientro dal debito con tagli annuali così pesanti, ben oltre ogni soglia di sostenibilità. Berlusconi ha venduto un pezzo d’Italia per compensare il suo deficit politico. E poi è crollato lo stesso, lasciandoci il debito da pagare.
Che ora faccia il vendicatore delle tasse è osceno. Il senso di un governo di necessità sta in alcuni, oggettivi contenuti di cambiamento. Il rispetto della legge uguale per tutti, come non è avvenuto negli anni delle norme ad personam. Il cambio delle politiche economiche, in favore di una maggiore competitività e di una minore diseguaglianza sociale. Il rinnovamento del sistema politico (istituzionale, elettorale, dei partiti). Se il governo Letta dovesse arrivare – come sarebbe giusto per l’Italia – alla fine del 2014, inevitabilmente, a competere sarebbero un nuovo centrosinistra e un nuovo centrodestra. È questo che Berlusconi vuole impedire. Non è la decadenza da senatore o l’interdizione che vuole fermare, perché sa bene che non è possibile. Vuole fermare il ricambio nel suo campo. Anche per questo l’assalto alle istituzioni va respinto. Se vorrà far cadere Letta, deve essere chiaro a tutti che è sua, soltanto sua, la colpa davanti agli italiani che hanno bisogno di una continuità di governo perché la crisi non dà tregua. Un vuoto oggi può costare carissimo (anche in termini di servizio del debito) e pregiudicare le basi stesse di un cambiamento positivo domani. Altro che Forza Italia. Questa sarebbe la condanna dell’Italia.
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